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Accordo su Banca e petrolio. Ma la Libia è ancora instabile

L’intesa per la Banca centrale, che ha portato alla riapertura dei flussi di petrolio, è fragile. Tripoli e gli Haftar restano distanti, attori destabilizzanti possono approfittare in ogni momento della situazione

La National Oil Corporation (NOC) ha annunciato la ripresa della produzione a pieno regime in tutti i giacimenti petroliferi della Libia. La comunicazione, pubblica da ieri, parla di un effettivo ritorno a pieno regime delle attività da giovedì, e ora si dovrebbero rapidamente riportare i circa 700.000 barili di petrolio libico prodotti ogni giorno sul mercato globale. Questa decisione è stata presa in seguito alla risoluzione di una disputa tra le fazioni politiche rivali del paese: una delle tante crisi dell’ultimo decennio, che aveva portato alla chiusura di gran parte della produzione petrolifera ad agosto.

La NOC aveva deciso di bloccare la produzione in risposta alla chiusura imposta dal signore della guerra dell’Est, il capo miliziano Khalifa Haftar, che nell’ambito di una disputa per il controllo della Banca Centrale aveva forzato la situazione imponendo la chiusura dei pozzi — che in molti casi sono protetti da forze di sicurezza colluse con Haftar, sebbene sempre pronte a cambiare casacca per interessi.

La produzione di petrolio libico, che dovrebbe attestarsi intorno a 1,2 milioni di barili al giorno, era scesa a meno di 450.000 barili al giorno preoccupando per la capacità libiche di far entrare proventi — visto che il petrolio rappresenta circa il 60% del Pil della Libia, 95% delle entrate statali e circa il 90% delle esportazioni. La riapertura dei giacimenti petroliferi, inclusi Sharara ed El-Feel, e delle esportazioni dal porto di Es Sider, il più grande del paese, rappresenta un passo importante verso la recupero di una, seppure parziale, stabilità economica.

Come accennato, il blocco della produzione petrolifera era stato provocato dalle tensioni tra il governo con sede a Tripoli, guidato (sotto un mandato onusiano ormai scaduto) dal primo ministro Abdulhamid Dabaiba, e l’amministrazione rivale che viene protetta dalla famiglia Haftar (la cui milizia è ormai assimilabile a un grande clan magioso), che controlla Bengasi e si allunga con accordi locali tra clan sulle risorse petrolifere della Libia situate nell’est del paese.

Al centro del confronto vi era la figura di Sadiq al Kabir, super influente governatore della Banca Centrale, accusato dal governo di Tripoli di cattiva gestione dei proventi petroliferi. In realtà Dabaiba aveva avviato un personale braccio di ferro con Kabir, un tempo alleato, perché quest’ultimo minacciava di interrompere il sostenimento del suo governo, accusato di corruzione e inefficienza. L’Onu aveva affidato a Dabaoba il compito di alleviare le tensioni interne e procedere all’organizzazione delle elezioni: questo percorso di stabilità doveva essere compito entro il 202: a tre anni di distanza, non c’è nemmeno un programma credibile all’orizzonte per portare a compimento certi piani.

La fazione orientale, con la protezione militare di Haftar e la spinta politica della Camera dei Deputati, si opponeva alla sostituzione di Kabir, e nel braccio di ferro innescato dopo che Dabaiba ne aveva forzato la rimozione, aveva risposto chiudendo i giacimenti petroliferi.

La Banca Centrale è il cuore del potere libico, perché controlla i miliardi di dollari in entrate derivanti dal petrolio. La gestione di queste risorse ha sempre rappresentato una leva politica e strategica cruciale per le fazioni rivali. Dopo settimane in cui si sono anche evocati scenari di redde rationem militare, a fine settembre, le varie fazioni libiche (compresi corpuscoli interni alla Tripolitania, che sostengono Dabaiba obtorto collo, solo perché detestano gli Haftar) hanno raggiunto un accordo sulla nomina di un nuovo governatore della Banca, Naji Mohamed Issa Belqasem, aprendo la strada per la revoca del blocco e la ripresa della produzione.

La ripresa della produzione petrolifera in Libia arriva in un momento di tensione crescente nel mercato energetico globale, complicato dall’escalation del conflitto in Medio Oriente e dal recente attacco missilistico iraniano contro Israele. Mentre i timori di un’interruzione delle forniture energetiche dalla regione del Golfo hanno fatto salire i prezzi del petrolio, la riapertura dei giacimenti libici potrebbe contribuire ad alleviare parte di queste preoccupazioni, immettendo altre migliaia di barili sul mercato giornaliero.

Sebbene la ripresa della produzione libica fosse attesa e quindi già in parte riflessa nei prezzi, il ritorno del petrolio libico però potrebbe non compensare il rischio potenziale che potrebbe emergere dal Medio Oriente. Dopo l’annuncio della NOC, i prezzi del Brent sono infatti inizialmente scesi di circa lo 0,5%, per poi risalire rapidamente fino a 77,40 dollari al barile, il livello più alto del mese.

Sebbene la ripresa della produzione petrolifera e la nomina di un nuovo governatore della Banca Centrale rappresentino segnali positivi, la stabilità politica della Libia rimane sostanzialmente inesistente. Dal 2011, anno della caduta di Muammar Gheddafi in seguito alla rivolta sostenuta dalla Nato, il paese è stato diviso tra amministrazioni rivali supportate da milizie e potenze straniere. La fragile intesa tra Tripoli, l’amministrazione orientale e gli Haftar potrebbe essere nuovamente messa alla prova in futuro, poiché il controllo delle risorse petrolifere continua a essere una delle principali fonti di tensione politica, lasciando la Libia nella situazione di bilico perenne. Condizione di cui potrebbero approfittate, come già successo in passato, attori destabilizzanti come la Russia, interessati a creare caos nel Mediterraneo — con effetti diretti in Europa.


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