La legge di Bilancio porta in dote una traiettoria convincente sul debito e misure fiscali in linea con quanto promesso. Il che rinsalda l’asse con Bruxelles. Ma i sacrifici chiesti alle banche rischiano di diventare una consuetudine, anche in altri Paesi
Prudenza e fede alla parola. Sono queste le architravi della manovra messa a terra da Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti, che ha già superato il primo vero test: quello dei mercati. Ora anche gli analisti iniziano piano piano a snocciolare i giudizi. Tra questi, quelli della società di consulenza Signum Global, per il quali “a nostro avviso, le due priorità del bilancio italiano sembrano essere quella di mantenere un percorso praticabile per soddisfare le nuove regole fiscali dell’Ue e, al contempo garantire l’attuazione strutturale (cioè non solo una tantum, ndr) degli impegni elettorali sul sistema fiscale”.
Elementi che portano a una prima conclusione: tale manovra avvicinerà Palazzo Chigi all’Europa: “la combinazione di questo bilancio, con altri eventi recenti, suggerisce che la posizione di Meloni all’interno dell’Ue diventerà più importante nel breve e medio termine”. Anche perché, chiariscono gli analisti di Signum, c’è chi sta peggio. “Il percorso per ridurre il deficit al di sotto del 3% arriva in un momento in cui il bilancio della Francia suggerisce che lo stesso obiettivo non sarà raggiunto nel prossimo futuro, offrendo all’Italia un paragone positivo”.
Ancora, la manovra, “giunge proprio mentre la politica di Meloni in materia di immigrazione, che prevede l’utilizzo di centri di controllo in paesi terzi (ad esempio l’Albania), in precedenza considerata controversa, è ora attivamente presa in considerazione dalla Commissione, segno che l’Ue si sta muovendo rapidamente verso Meloni in materia di immigrazione”. Attenzione però, non è tutto rose e fiori. Perché se sul versante della traiettoria di rientro del debito i conti tornano, non è lo stesso per quanto riguarda le due misure regine della finanziaria: la riduzione delle aliquote Irpef e il taglio del cuneo.
“L’utilizzo di risorse chiave per estendere due promesse fiscali fondamentali, il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori e la riduzione del numero di aliquote dell’imposta sul reddito, comporta due problemi: in primo luogo, ha significato scelte più dure altrove (tagli di spesa o mancate agevolazioni fiscali, ndr) che garantiranno tensioni nella coalizione. Ad esempio, la richiesta della Lega di ridurre l’Iva per le imprese non è stata accolta. Le risorse saranno reperite anche attraverso un contributo di 3,5 miliardi di euro da parte di banche e assicurazioni, cosa che Forza Italia ha fortemente osteggiata”.
E poi c’è, forse, un problema ideologico, che chiama direttamente in causa le banche. “In secondo luogo, la raccolta di fondi dalle banche evidenzia una probabile tendenza a lungo termine (anche al di fuori dell’Italia) dei governi a prendere sempre più di mira i profitti in eccesso delle imprese. Il governo considera le aziende come le opzioni meno impopolari per tasse più elevate e l’implicazione è che il prossimo anno le banche saranno sempre più esposte a tali imposte in tutta Europa. Senza considerare che i beneficiari di extra profitti del settore privato, diventeranno bersagli di imposte specifiche sugli utili a lungo termine, proprio come lo sono le banche ora e le società petrolifere e del gas”.