L’esempio che viene da Wadi al-Zayne è importante, perché se nella difficoltà, nelle ristrettezze, emerge molto spesso la chiusura, la prevenzione, quando la difficoltà supera i limiti emerge l’empatia, che può ricostruire le culture, nonostante le avversità. La riflessione di Riccardo Cristiano
Gli arabi hanno trovato in questa devastazione la loro capitale, quella da cui ripartire? Forse è solo una suggestione, ma forse le cose stanno così. Si chiama Wadi al-Zayne, è una piccola cittadina poco a nord di Sidone, nel devastato Libano, sulle colline dello Shouf, famoso per i suoi uliveti, terra dei drusi. È un gruppo piccolo e chiuso quello dei drusi, ma sulla loro terra hanno trovato questo rifugio i profughi palestinesi quando l’esercito israeliano attaccò il loro campo di Nabatyeh nel 1974. Poi altri ne giunsero, dopo che l’esercito siriano attaccò nel 1976 un altro loro campo, Tal al Zataar. Oggi Wadi al Zayne, ritrovo di questo pugno di reduci di antichi dolori e dei loro figli, si è aperta ai profughi libanesi in fuga dal sud e a quelli siriani, che da anni hanno cercato riparo nel Libano. Il Libano non è mai stato molto aperto con i profughi, prima palestinesi e poi siriani, li ha accolti ma con resistenze e grandi timori, che molto spesso hanno fatto indignare. La scelta degli abitanti di Wadi al-Zayne dunque potrebbe sorprendere. Un residente ha detto: “Non abbiamo molto, ma non potevamo lasciarli lì fuori, senza un riparo”.
A Wady al-Zayne c’è una sala per matrimoni, con tavoli rotondi coperti di staffa bianca, come le sedie disposte attorno ad ognuno di essi. Quelle sedie ora servono a dividere lo spazio riorganizzato a ricovero per 30 persone: libanesi, siriani e palestinesi. Poco distante c’è la mosche, dove si sono sistemate 84 persone. Tra di loro c’è un neonato, la madre lo ha partorito lì, appena giunta, fuggiasca, dal sud. Gli altri ospiti si definiscono “i suoi genitori”. Quanti genitori ha il bimbo, che ha un nome, Ahmed. Poi ci sono altri, accolti in ricoveri creati in fretta e furia, per l’occasione.
Un ospite della moschea ha raccontato di aver impiegato 14 ore a compiere il tragitto dal suo villaggio nel sud a Wady al-Zayne, che normalmente richiederebbe una mezz’ora. Ma non sono tempi normali, nella grande fuga di oltre un milione di persone dal sud. Così è accaduto che l’imam abbia guidato la preghiera dal cortile, glielo hanno chiesto i fedeli, per non disturbare le famiglie che finalmente potevano riposare, all’interno. Wady al-Zayne è stata d’esempio per i piccoli villaggi vicini, che hanno organizzato consegne di cibo, raccolte d’acqua, di coperte per i rifugiati.
Piccole o grandi forme di solidarietà sono diventate contagiose, o comunque si sono diffuse. Uno dei profughi ha raccontato di essere andato dal barbiere che non ha voluto essere pagato, altrettanto dice un altro di loro del farmacista al quale si è rivolto per una sua urgenza.
L’esempio di Wadi al-Zayne è importante per tutto il Paese. Ai tempi del Covid papa Francesco disse che dalle crisi si esce migliori o peggiori, mai uguali. Chiudersi in ghetti confessionali, come alcuni pensarono di fare ai tempi della guerra civile, fu umano, e potrebbe esserlo anche oggi, ma sarebbe esiziale. Sarebbe la fine del Libano, del suo essere un Paese, con un popolo. I profughi sono stati una minaccia a questa esistenza unitaria, per il timore che il loro arrivo significasse un mutamento degli equilibri confessionali, un sopravanzare degli uni rispetto agli altri. Questo ha rischiato di seppellire il Libano, sotto le macerie della guerra civile protrattasi dal 1975 al 1990. A Wady al-Zayne è invece evidente che dei sunniti accolgono degli sciiti.
Ora è difficile sapere se l’esempio di Wadi al-Zayne valga al di là della sua aerea, bisognerebbe poterlo verificare in tanti piccoli centri dell’entroterra libanese. Ma è questa la vera chiave di volta per gli arabi di quello che è stato il grande Levante. Libano, Siria, Iraq, sono Stati nella prova più estrema, dove molti – anche attori stranieri – spingono sul pedale della divisione settaria, che poi fu quella che ispirò i colonialisti europei un secolo fa. Ma se questi Paesi non sono mai diventati veri Stati, Wadi al-Zayne dice a tutti i “levantini” che c’è un’altra prospettiva, quella della federazione del Levante. Il “divide et impera” è sempre stato il progetto vincente di chi vuole dominare, o piegare ai suoi disegni. Molti in passato hanno ceduto a questi disegni, ad esempio alcuni cristiani, per paura degli altri. È l’esempio più lontano nel tempo, altri se ne potrebbero fare. Per questo l’esempio che viene da Wadi al-Zayne è importante, perché se nella difficoltà, nelle ristrettezze, emerge molto spesso la chiusura, la prevenzione, quando la difficoltà supera i limiti emerge l’empatia, che può ricostruire le culture, nonostante le avversità.
Wady al-Zayne è un esempio di resistenza e rinascita, quelle vere.