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Burocrazia, sgravi e transizione. Le politiche del lavoro secondo De Luca

Semplificare gli adempimenti burocratici, incentivare le assunzioni attraverso decontribuzioni strutturali e sgravi fiscali, potenziare la formazione e la digitalizzazione del lavoro sono i presupposti che consentirebbero alle Pmi di crescere ulteriormente. Colloquio con il presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca

Politiche attive, incentivi all’autoimprenditorialità e sgravi burocratici. Gli ingredienti di un contesto ideale per favorire lo sviluppo. Occupazione nel nostro Paese è sinonimo – per lo più – di piccole e medie imprese. Il governo guidato da Giorgia Meloni sta impostando una politica efficace perché “la ricerca attiva del lavoro e l’accesso delle figure meno forti al circuito occupazionale e formativo” ma, soprattutto per colmare il mismatch tra mondo produttivo e formativo occorre proseguire e rafforzare questo orientamento. Formiche.net ne ha parlato con il presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca.

Presidente De Luca, il governo è al lavoro sulla Finanziaria. L’orientamento è quello di confermare il taglio del cuneo fiscale. Che tipo di segnale rappresenta?

È un segnale sicuramente positivo, perché intervenire sul cuneo fiscale è una misura prioritaria sia per i lavoratori che per le imprese, così da aumentare potere d’acquisto dei salari e incentivare investimenti. La crescita economica e dell’occupazione passa anche da questi interventi. Potrebbe anche essere agganciato alla riqualificazione e alla formazione dei lavoratori verso le nuove competenze richieste dalle nuove sfide che il mondo economico e produttivo si trova ad affrontare, a partire da quella digitale e green.

In termini assoluti, anche quest’anno viene confermato il record sul piano occupazionale. Come agire per tentare di rendere strutturale queste condizioni?

La sfida più importante a cui siamo chiamati oggi è quella di creare le condizioni per un mercato del lavoro inclusivo e di qualità, che coinvolga attivamente chi è ancora penalizzato, come le donne e i giovani. La riforma delle politiche attive, introdotta con il DL 48/2024, ha certamente favorito la creazione di “buona occupazione”, perché incentiva la ricerca attiva del lavoro e l’accesso delle figure meno forti al circuito occupazionale e formativo. Si deve proseguire lungo questo percorso, rafforzando e rendendo ancora più efficaci queste misure di Politiche Attive. Ma anche intervenendo sul sistema formativo, rendendolo coerente con le esigenze del mercato del lavoro che segnala carenza di figure specializzate.

La quasi totalità delle imprese che costituiscono il tessuto produttivo italiano sono piccole o medie. Esiste, sul piano delle politiche del lavoro, una forma di attenzione verso queste realtà?

Le piccole e medie imprese rappresentano la spina dorsale del nostro sistema economico e sono quelle più esposte alle intemperie dei mercati. Per questo è fondamentale che le politiche del lavoro tengano conto delle loro specificità. Semplificare gli adempimenti burocratici, incentivare le assunzioni attraverso decontribuzioni strutturali e sgravi fiscali, potenziare la formazione e la digitalizzazione del lavoro sono i presupposti che consentirebbero alle Pmi di crescere ulteriormente e di competere. Vanno in questa direzione misure come il credito d’imposta per investimenti in beni strumentali, il Piano Transizione 4.0 che favorisce la digitalizzazione delle microimprese e il decreto Coesione, che ha introdotto numerose agevolazioni in materia di autoimprenditorialità, con l’obiettivo di incentivare la creazione di nuove attività professionali e imprenditoriali, specialmente al Sud e per le categorie più svantaggiate.

A fronte di dati incoraggianti in ordine all’occupazione, assistiamo spesso alla mancanza di manodopera nelle aziende. Quale la strada per colmare il mismatch tra formazione e mondo del lavoro?

È un tema antico del mondo del lavoro che si può contrastare con la formazione specialistica. Oggi più che mai è necessario orientare i giovani verso percorsi formativi professionalizzanti e il più possibile connessi con le esigenze del mercato del lavoro, implementando programmi di formazione mirati che consentano di sviluppare le competenze richieste dalle imprese, in primis nei settori tecnici e digitali. Diventa indispensabile creare un “ponte” sistemico e strutturato tra il mondo del lavoro e il mondo accademico, affinché le nuove generazioni siano preparate a rispondere in modo adeguato ai mutamenti dell’economia e della società, soprattutto nell’era dell’intelligenza artificiale. L’accelerazione tecnologica sta, infatti, ridisegnando i confini del sistema lavoristico, ponendo davanti a lavoratori e imprese sfide del tutto inedite. In quest’ottica la parola d’ordine resta formazione continua.

Cosa ne pensa dei recenti interventi in materia di lavoro, in generale, e di politiche attive, in particolare?

Dopo anni di assistenzialismo, le politiche attive sono di nuovo al centro di un sistema virtuoso. La fine del reddito di cittadinanza e l’introduzione dell’Assegno di Inclusione (ADI) e del Supporto per la formazione e il lavoro (SFL) hanno determinato un cambio di paradigma che rende prioritaria la ricerca attiva del lavoro, l’inclusione e l’acquisizione di nuove competenze. La fotografia, che Istat restituisce ogni mese, ci descrive una situazione desueta per l’occupazione in Italia: a sorprendere positivamente non sono solo i numeri di occupati mai avuti nel nostro Paese, ma ancora di più la tendenza ad assumere a tempo indeterminato e la contrazione del numero di Neet. Questo fa capire, da un lato, che le imprese hanno fiducia e, dall’altro, che si partecipa maggiormente alla ricerca del lavoro. La piattaforma Sisl – in cui operano centri per l’impiego, enti di formazione, imprese e amministrazioni pubbliche – mira a facilitare l’incrocio tra domanda e offerta. Si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale, che incoraggia la piena interazione tra tutti i soggetti protagonisti del mondo del lavoro, sia pubblici che privati, e da cui il Paese può uscirne migliore. In un sistema che di fatto non ha mai funzionato sono stati introdotti strumenti che hanno le potenzialità per dare risposte positive di lungo periodo.


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