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Postura internazionale e riforme. Il governo politico di Meloni secondo Adornato

“Si può dare il giudizio che si vuole sul governo, ma non si può ignorare che dopo due governi tecnici, abbiamo un governo politico”. Migranti, riforme, postura internazionale del governo Meloni analizzati dall’ex parlamentare e saggista

Giorgia Meloni ha fatto la gavetta della politica e la politica è una cosa seria. Ferdinando Adornato, presidente della Fondazione Liberal ed editorialista del Messaggero, autore con Mons. Rino Fisichella de “La libertà che cambia. Dialoghi sul destino dell’Occidente” (Rubbettino), la promuove a pieni voti dopo due anni di permanenza a Palazzo Chigi. In questa conversazione con Formiche.net l’ex parlamentare e saggista analizza i punti di forza della premier, vaglia le sue mosse sul piano internazionale come il Piano Mattei e il modello Albania, fa un parallelo con il centrodestra di Berlusconi e racconta anche della prossima sfida: le riforme e la classe dirigente di FdI.

Il governo Meloni è tra i dieci più longevi della storia d’Italia, una stabilità rara: quali gli effetti sia sull’attenzione degli investitori internazionali, sia sulla possibilità di portare a termine riforme storiche come quella sul premierato?

Il dato più sorprendente sul quale il governo è promosso a pieni voti è stata la postura internazionale e la capacità della premier e del ministro degli Esteri di acquisire un’autorevolezza e una credibilità internazionale. Era questo il punto che prima del voto, e prima della campagna elettorale, l’opposizione giudicava il più debole per un governo guidato da Fratelli d’Italia. Viceversa è accaduto il contrario. L’Italia ha acquistato spazio, prestigio, ruolo internazionale anche presso paesi e leadership lontane dalla nostra. Ciò dal punto di vista della tenuta dell’economia si vede anche abbastanza facilmente, ed è un dato estremamente positivo. Se dovessimo fare una schedina del Totocalcio scriverei che c’è un 2, perché il Governo non giocava in casa: su questo aspetto ha vinto in trasferta. Sul premierato e le altre riforme direi che si tratta di una partita che è stata sospesa per impraticabilità di campo.

Perché?

Perché ancora non è dato sapere come si svilupperà sia il premierato, sia l’autonomia differenziata. Mi pare di capire che sulla riforma della giustizia invece le cose si stanno muovendo più celermente. Il campo è stato reso impraticabile anche da opposizioni pregiudiziali, ma accade ormai da trent’anni che quando in Italia si vuole affrontare il tema delle riforme costituzionali emergono barricate conservatrici che finiscono per inficiare la possibilità stessa di queste riforme. Quindi su questo io sospenderei il giudizio, anche se non posso mancare di sottolineare che l’Italia di queste riforme ha bisogno da decenni. Sarebbe un peccato che venisse sprecata anche questa ennesima occasione.

Nel settembre 2022, prima che Giorgia Meloni salisse a Palazzo Chigi, qualcuno lanciava l’allarme sull’arrivo della troika, sul possibile fallimento dell’Italia, sulla rottura dei principi cardine dell’aggancio italiano all’Europa. Due anni dopo non è andata così, perché?

Per due motivi. Primo, queste lamentazioni sull’isolamento dell’Italia sono lamentazioni che non fanno i conti con la forza e il ruolo che l’Italia ha in Europa. Non è così facile mettere l’Italia dietro la lavagna. Secondo, Giorgia Meloni è stata molto brava e a questo legherei anche il ragionamento sul fatto che, dopo tanti anni, si è tornati ad avere un governo scelto dagli elettori. Si può dare il giudizio che si vuole sul governo, ma non si può ignorare che dopo due governi tecnici, con una sorta di sospensione della democrazia, questa volta invece abbiamo un governo politico. Ciò non può che essere un fatto positivo anche per i partner europei. E è un governo che, come diceva lei, ha già un record di longevità e questo in Italia si sa che rappresenta è un problema soprattutto nella credibilità internazionale. Il fatto che i governi durino è un fatto estremamente positivo per il nostro paese.

Che cosa è cambiato dal Berlusconi federatore del centro-destra a Meloni premier di una coalizione di destra-centro?

È una risposta complessa, tuttavia non dobbiamo dimenticare che Berlusconi non era un politico: era, come egli amava dire, un imprenditore prestato alla politica. Poi ci si era trovato bene, tanto che ha saputo navigare dentro la politica, mostrando doti politiche che anche in quel caso non erano previste. Io credo che, nonostante la disaffezione che gli italiani mostrano verso la politica, alla fine se compare qualcosa di simile alla Prima Repubblica, cioè quando c’era la serietà, la credibilità, la riconoscibilità di un politico di razza, gli italiani poi alla fine lo capiscono e se anche non votano lo apprezzano. Giorgia Meloni rappresenta il ritorno dell’Italia politica. E questo credo che sia la principale differenza con Berlusconi. Detto questo ci sono anche degli elementi di vicinanza perché è vero che oggi si tratta di destra-centro e non di centro-destra però, tutto sommato, si naviga nel solco dell’invenzione di Berlusconi e la continuità è evidente anche al di là delle differenze. Continuità e differenze vanno tenute in conto entrambe.

Si aspettava questa spiccata capacità di Meloni di tessere relazioni politiche (e personali) con gli altri leader internazionali?

Sì, me l’aspettavo. Abbiamo avuto decenni in cui la retorica del nuovo ha riempito le nostre discussioni e le pagine dei giornali, ma non sempre il nuovo è riuscito a convincere gli italiani. Anzi, direi che non c’è quasi mai riuscito, salvo Berlusconi. Il suo primo capolavoro è stato quello di riuscire a rappresentare una novità, clamorosa, dopo la fine della Prima Repubblica, ma anche di parlare al vecchio elettorato democristiano, socialista, conservatore, repubblicano: non dimentichiamolo, questo è stato il capolavoro di Berlusconi, rappresentare il nuovo ma anche rivolgersi agli elettorati tradizionali di partiti che erano scomparsi in un batter d’occhio. Giorgia Meloni ha fatto la gavetta della politica e la politica è una cosa seria: il fatto che negli ultimi tempi non si sia riusciti a trovare rappresentanti credibili di questa arte, perché rimane pur sempre un’arte, non vuol dire che non ve ne fossero più. Il caso di Giorgia Meloni rappresenta una politica a 360 gradi, come lei ama dire.

Cosa l’ha convinta meno?

Non al suo livello è tutto il suo partito, ma non sarei così severo nel senso che se si parte dal 4% e si giunge al 30% non c’è tempo a sufficienza per formare una classe dirigente. Sarà questa la sfida alle prossime elezioni quando Giorgia Meloni dovrà dimostrare di aver chiaro anche che deve esserci un rinnovamento della sua proposta per l’Italia dal punto di vista del partito. Anche perché gli altri partiti non godono certo di ottima salute e lo stato della politica italiana è in una fase di decadenza che riguarda sia la rappresentanza della destra sia quella della sinistra. In questo stato di decadenza, però, va riconosciuto che la figura di Giorgia Meloni rappresenta un’eccezione.

La stampa internazionale riconosce, oggi, alla premier un ruolo nei dossier più rilevanti. Quale il merito principale di Meloni e quale il rischio che dovrà evitare per l’immediato futuro?

Nella politica internazionale Meloni brilla, mentre sull’economia sempre seguendo la metafora calcistica metterei una X. Perché? Qualsiasi governo ci sia, governare l’economia italiana con un debito pubblico altissimo e con la scarsità di risorse è molto difficile. Ma la X è un risultato positivo in questo caso, perché la prudenza dimostrata da Meloni e Giorgetti, sommata alla capacità di non fare scelte avventate e di tenere conto della situazione italiana con grande realismo, rappresenta un vantaggio. Non si poteva fare di più.

Migranti, piano Mattei, fronte sud: che voto dare alla premier?

Darei un voto positivo anche sull’approccio rispetto alla questione dei migranti, perché siamo passati dall’idea di respingerli con le navi ad una strategia molto più complessa, articolata e positiva quella che fa riferimento al piano Mattei: una battaglia che Meloni ha fatto in Europa perché si cominciasse un dialogo con i Paesi della frontiera nord africana. Aggiungo che anche questa idea contestatissima dell’Albania sta facendo incuriosire tutti in Europa. Tralascio le questioni sulla magistratura perché mi interessano di meno, ma osservo che siamo dentro un registro non più di improvvisazione e neanche solo di faccia feroce. Ma siamo dentro un’idea di gestione positiva della crisi migratoria. Di contro la sinistra pensa solo che bisogna accogliere tutti indiscriminatamente, consegnandosi così ad una posizione antistorica e antipolitica. Basta pensare al ruolo che ebbe Minniti quando era ministro dell’Interno.


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