“Ciò che vorrei sottolineare è la sua maestria nell’applicare la saggezza del centrismo politico per affrontare crisi di ogni tipo, sia interne che internazionali, e per colmare divisioni apparentemente insanabili tra forze opposte”. Conversazione con il professore Jian Chen, della New York University, sulla figura di Zhou Enlai
Mentre la Cina continua a rafforzarsi sulla scena globale sotto la leadership di Xi Jinping, l’eredità politica di figure storiche come Zhou Enlai rimane rilevante nel comprendere il percorso di Pechino verso la modernizzazione e la sua postura internazionale. Zhou, secondo il professor Jian Chen della New York University, rappresenta una figura centrale non solo nella storia della Repubblica Popolare Cinese (PRC), che oggi festeggia i 75 anni dalla sua fondazione, ma anche nella sua evoluzione come potenza globale. Il suo approccio pragmatico e centrato sulla diplomazia ha lasciato un’impronta duratura sul modo in cui la Cina si relaziona con il mondo e affronta le crisi interne.
In questa intervista, lo studioso di origini cinesi, offre una visione approfondita sulla figura di Zhou, sulla sua relazione con Mao Zedong — leader segnante della storia e del presente cinese, come ricordava sempre su queste colonne Steve Tsang (SOAS) — e sull’importanza della sua eredità politica per la Cina di oggi. Jian Chen è in Italia per presentare il suo libro, “Zhou Enlai: A Life”, di cui si parlerà questo pomeriggio alla John Cabot University di Roma, evento organizzato dall’associate director dell’istituto, il professore Enrico Fardella.
Chi era Zhou Enlai nel contesto della storia della Repubblica Popolare Cinese?
Zhou Enlai è stato il leader più famoso, importante e influente — secondo solo a Mao — della rivoluzione comunista cinese e della Repubblica Popolare Cinese. Nacque nel 1898, in un periodo di grave crisi nazionale per la Cina; morì nel 1976, quando la Cina era ormai riconosciuta come potenza mondiale, anche se la disastrosa Rivoluzione Culturale di Mao era ancora in corso. Da giovane studente, Zhou evidenziò più volte un motto che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita: vedere “la Cina risollevarsi nel mondo”. Questa fu la ragione principale che lo spinse a diventare comunista.
Dagli anni ‘20 in poi, Zhou fu uno dei principali leader del Partito Comunista Cinese (PCC), rimanendo membro del Politburo fino alla sua morte nel 1976. È stato premier della PRC per vent’anni e per dieci anni anche ministro degli Esteri. Controllava l’apparato amministrativo e esecutivo del Partito e della Repubblica, e ricopriva un ruolo di alto rilievo anche nell’esercito cinese; meno noto, ma altrettanto importante, è stato il suo ruolo di spymaster.
Quali erano le caratteristiche della sua postura internazionale?
A livello internazionale, Zhou fu il “volto diplomatico” della Cina. Tra i suoi molti successi, fu uno dei principali artefici dell’Accordo di Ginevra sull’Indocina del 1954, un attore principale della Conferenza afro-asiatica di Bandung del 1955 e uno degli autori dei Cinque Principi della Coesistenza Pacifica (rispetto reciproco per l’integrità territoriale e la sovranità, non-aggressione, non-interferenza negli affari interni, uguaglianza e reciproco beneficio, coesistenza pacifica). Fu anche uno dei principali architetti del Comunicato di Shanghai tra Cina e Stati Uniti del 1972, che a mio avviso è uno dei documenti più importanti del XX secolo e che dovrebbe continuare ad avere un ruolo fondamentale anche nel XXI secolo, non solo per le relazioni sino-americane, ma anche per gli affari mondiali in generale.
E con l’Italia?
In questo contesto, Zhou giocò un ruolo importante nel promuovere le relazioni tra Cina e Italia. Negli anni ’50, fu lui a invitare Pietro Sandro Nenni, leader del Partito Socialista Italiano, a visitare la Cina, aprendo la strada al miglioramento delle relazioni sino-italiane durante la Guerra Fredda. Questo portò all’apertura di uffici commerciali a Pechino e Roma nel 1964 e all’instaurazione delle relazioni diplomatiche nel 1970. Non a caso, Henry Kissinger, che non è noto per la sua “modestia”, affermò: “In sessant’anni di vita pubblica, non ho mai incontrato una figura più affascinante”.
In che modo le sue azioni politiche e la sua filosofia differivano da quelle di Mao Zedong? In quali occasioni ha influenzato in modo unico la traiettoria della PRC?
Durante la sua lunga carriera politica, Zhou ha lavorato a stretto contatto con Mao. La sua straordinaria capacità amministrativa ed esecutiva fu essenziale per il governo della Cina sotto Mao, specialmente quando le visioni radicali di Mao spinsero il Paese in disastri enormi, come il Grande Balzo in Avanti e la Rivoluzione Culturale. Alcuni lo chiamano un “facilitatore di Mao”.
Eppure Zhou non fu mai un vero maoista…
Vi erano differenze nei loro approcci verso la “rivoluzione” e la costruzione del socialismo in Cina. In breve, Mao metteva la rivoluzione al di sopra di tutto; Zhou enfatizzava lo sviluppo e la produzione. Mao disprezzava gli intellettuali; Zhou li considerava una forza chiave per la “rivoluzione e ricostruzione socialista”. Mao confondeva visioni utopiche con piani per perseguire la modernità; Zhou proponeva costantemente piani realistici per la modernizzazione della Cina. Fondamentalmente, come ho scoperto nel mio studio, nel pensiero di Zhou c’era sempre spazio per preoccupazioni umanitarie e valori universali, elementi che mancavano nella visione di Mao. Mentre alcuni chiamano Zhou un facilitatore di Mao, io credo che sia stato più un “controllore di Mao”.
Una delle figure che tracciava la rotta al grande timoniere?
In sintesi, quando Mao, il grande timoniere, guidava la nave gigante della Cina in tempeste come la disastrosa Rivoluzione Culturale, Zhou, come ufficiale capo, cercava di fare del suo meglio per evitare che la nave affondasse. Inoltre, la Cina non solo sopravvisse al momento pericoloso, ma riuscì anche a muoversi verso l’era delle “riforme e apertura”. Zhou merita pienamente credito per questo.
Qual è l’eredità politica di Zhou Enlai per la Cina contemporanea?
L’eredità politica di Zhou è complessa e sfaccettata. Ciò che vorrei sottolineare è la sua maestria nell’applicare la saggezza del centrismo politico per affrontare crisi di ogni tipo, sia interne che internazionali, e per colmare divisioni apparentemente insanabili tra forze opposte. Questo probabilmente è l’aspetto più prezioso della sua eredità, specialmente oggi, mentre il mondo affronta sfide mortali dovute a ideologie estremiste e pratiche radicali.