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Dalle agenzie di rating un aiuto all’Italia. Ma sul debito la strada è ancora stretta

Da Fitch e Standard&Poor’s è arrivata una non scontata promozione ai conti italiani, condividendo il giudizio sul Paese anche con mercati e spread. Una spinta che però non allontana più di tanto la madre di tutte le sfide, rimettere il debito nell’alveo del nuovo Patto di stabilità

C’è una frase che accomuna i due giudizi pervenuti, nella tarda serata di venerdì, a Borsa chiusa, da parte di due delle tre agenzie di rating internazionali, vale a dire Standard&Poor’s e Fitch: aumenta la credibilità del bilancio italiano. Il cammino della manovra, la terza con la firma in calce di Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti (la prima finanziaria, per la verità, fu scritta in parte da Mario Draghi) è certamente partito con la marcia giusta, se non altro sul versante della fiducia. Che, in un Paese indebitato come l’Italia, fa quasi sempre la differenza. Se le agenzie di rating non si fidano della tenuta delle finanze italiane, i mercati le seguono a ruota, surriscaldando lo spread e aumentando il costo del debito.

Cosa che il governo italiano non può certo permettersi, dal momento che il principale impegno, politico e contabile, per i prossimi tre anni, sarà proprio riportare disavanzo e dunque il debito sotto i parametri del nuovo Patto di stabilità. E, visto che, per stessa ammissione del ministro dell’Economia Giorgetti, sarà difficile agguantare una crescita dell’1% e i tagli di spesa chiesti dal Tesoro ai ministeri per finanziare una manovra che cuba 30 miliardi sono ancora tutti da scrivere e mettere a terra, ecco che il fattore fiducia diventa essenziale, se non altro per impedire il drenaggio di risorse sia dalla legge di Bilancio, sia dagli investimenti e dunque dal Pil.

Ecco dunque che i giudizi di Standard&Poor’s e Fitch (a novembre toccherà a Moody’s) altro non sono che carburante per la politica fiscale del governo. Se la prima ha confermato il rating dell’Italia a BBB con outlook stabile, la seconda ha mantenuto invariato il rating a BBB ma ha rivisto verso l’alto le prospettive, con l’outlook che passa da stabile a positivo. Questo sull’onda, si legge nel report di Fitch, “di recenti performance sui conti pubblici più solide e l’impegno verso le regole dell’Ue indicano una potenziale riduzione dei rischi fiscali e finanziari nel medio termine derivanti dai livelli di debito eccezionalmente elevati dell’Italia. Ciò è rafforzato da segnali di una crescita potenziale più forte e da un contesto politico più stabile”.

La stessa Fitch, poi, è scesa più nel dettaglio sui numeri, sottolineando che la riscossione delle entrate migliore del previsto quest’anno ha portato il governo ad aumentare sostanzialmente il saldo fiscale previsto per il 2024. “Ora prevediamo un disavanzo fiscale del 3,7% del Pil, in calo rispetto al 4,7% della revisione di aprile e alla stima iniziale del governo del 4,3%. Di conseguenza, ci aspettiamo che l’Italia raggiunga il saldo primario di bilancio quest’anno”. Ma c’è di più: il piano fiscale del governo è stato giudicato credibile: “prevediamo che i disavanzi di bilancio si ridurranno al 3,2% del Pil nel 2025 e al 2,7% nel 2026, sostanzialmente in linea con il piano di bilancio strutturale a medio termine del governo che delinea obiettivi di bilancio su un percorso di aggiustamento di sette anni”.

Fin qui lo stato dell’arte. Ma il futuro? Standard&Poor’s ricorda a Roma che il debito è e rimane comunque un problema. I postumi del Superbonus sono ancora lungi dall’essere smaltiti, ci vorranno mesi, se non altro per l’ingente mole di crediti di imposta che lo Stato deve ancora versare alle imprese che li hanno maturati. La stessa agenzia di rating prevede un aumento del debito, proprio sull’onda della misura voluta, a suo tempo, dal Movimento 5 Stelle. Ed è qui che entra in gioco il Piano strutturale di bilancio, messo a punto dal Tesoro e che è, per ceti versi, più importante della manovra stessa, almeno nel lungo termine. Perché è lì che l’Italia si giocherà il rispetto delle regole europee. La strada è però stretta: servirà poco spesa corrente e tanta crescita. Sperando, ovviamente, nella benevolenza dei mercati.



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