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Reti oncologiche, come colmare il gap fra Nord e Sud. Parla Fava (Cittadinanzattiva)

In Italia l’accesso alle cure oncologiche rimane troppo spesso disomogeneo. Liste di attesa e mobilità sanitaria sono i problemi più sentiti dai cittadini. “Fondamentale supportare le reti oncologiche regionali e garantire l’omogeneità dei Pdta”, spiega Valeria Fava (Cittadinanzattiva)

Nel campo oncologico, garantire un accesso tempestivo e uniforme alla diagnosi e alle cure rappresenta una sfida centrale per i sistemi sanitari. In un contesto dove la tempestività può fare la differenza tra la vita e la morte, i ritardi nelle diagnosi o nell’inizio delle terapie possono compromettere in modo significativo gli esiti di salute dei pazienti. Tuttavia, l’accesso alle cure oncologiche, in Italia, rimane spesso disomogeneo, con forti differenze territoriali che acuiscono le disparità tra regioni più avanzate e altre che faticano a garantire standard adeguati. In questo scenario, le reti oncologiche regionali e i Pdta (Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali) rivestono un ruolo fondamentale. La corretta implementazione di questi strumenti non solo migliora il benessere dei cittadini, ma è anche cruciale per la sostenibilità del sistema sanitario nel lungo termine. Per capire come, abbiamo intervistato Valeria Fava, responsabile del coordinamento delle Politiche per la salute di Cittadinanzattiva.

Accesso alle cure. Come definirebbe lo stato attuale a livello regionale dell’accesso alle cure per i pazienti oncologici?

Per risponderle posso raccontare quello che viviamo direttamente attraverso le segnalazioni che riceviamo dai cittadini. Sono due le problematiche più frequenti. La prima riguarda le liste d’attesa, un problema rilevante, anche e soprattutto per la diagnosi tempestiva del tumore. Ma le attese si registrano anche nelle fasi di monitoraggio e controllo, con difficoltà da parte dei pazienti ad accedere ai controlli programmati dall’equipe curante. Questo è uno degli ostacoli più evidenti.

E la seconda?

L’altro grande problema è la necessità, purtroppo troppo frequente, di spostarsi di regione o di provincia per accedere alle cure. Questo comporta ulteriori difficoltà, anche psicologiche e sociali, legate alla necessità di spostarsi da un luogo all’altro in Italia per poter essere curati. Queste disomogeneità territoriali, oltre che molto evidenti, sono confermate dai dati ufficiali di Agenas, che mostrano una forte mobilità sanitaria, soprattutto nelle regioni del Sud come la Calabria, la Basilicata ed il Molise.

Quindi il meridione è più svantaggiato di altri territori?

Vero, anche se c’è un altro fenomeno da analizzare, ovvero una generale sfiducia dei cittadini delle regioni del sud nei confronti dei servizi sanitari, anche quando non del tutto giustificata. Spesso le persone si rivolgono ad altre regioni prima ancora di verificare l’esistenza e l’efficienza dei servizi della propria.

Ma spesso hanno ragione…

I dati che raccogliamo noi dalle segnalazioni ma anche quelli istituzionali, confermano queste disomogeneità sia nell’accesso alle cure che nella qualità dei servizi offerti. L’indagine di Agenas sulle reti oncologiche ad esempio mostra come siano presenti regioni estremamente performanti in termini di organizzazione e governance della rete (Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte/Valle d’Aosta, Veneto e Liguria), altre in cui il raggiungimento della performance è garantito maggiormente dalla capacità di singoli centri sia per produttività e volumi sia per soddisfacimento della domanda interna ed esterna, che quindi devono lavorare su un’efficace sistema di rete (Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Lazio). In altre regioni è visibile un trend in miglioramento avendo avviato una riorganizzazione capace di raggiungere esiti incoraggianti e positivi (Campania, Puglia, Sicilia, Marche, Pa di Trento e Pa di Bolzano). Infine, rimangono da supportare nella definizione della rete e nella sua successiva crescita le regioni (Calabria, Molise, Sardegna, Umbria, Basilicata e Abruzzo) in cui appare evidente dai dati sulla mobilità e dalla scarsa risposta al soddisfacimento della domanda dei pazienti residenti in regione, l’inefficacia dei processi di base della rete.

Anche sulla prevenzione oncologica c’è forte disomogeneità tra Nord e Sud?

Sì, il gradiente Nord-Sud è preoccupante. Se parliamo di screening oncologici per tumori come quello della mammella, della cervice o del colon-retto, le regioni del sud presentano dati ben al di sotto degli obiettivi prefissati sia in termini di invio di inviti ai soggetti aventi diritto, sia in termini di adesione ed efficienza del percorso di presa in carico. La capacità di presa in carico del paziente dopo uno screening, infatti, spesso è inficiata da tempi eccessivi per gli approfondimenti del caso, causando un ritardo sia nell’avvio delle cure ma anche nei follow-up nel corso del tempo.

Questo gap riguarda anche i farmaci innovativi, o ne sono esenti?

L’accesso ai farmaci innovativi è un altro tema che varia molto a livello territoriale. Parliamo di farmaci che spesso richiedono test specifici, come i test molecolari, prima di poter essere prescritti. Anche qui, sebbene ci siano stati enormi progressi negli ultimi anni, la situazione resta variegata: alcune regioni hanno istituito reti oncologiche molto organizzate, garantiscono presso le strutture la presenza di gruppi oncologici multidisciplinari, hanno individuato molecular tumor board per i casi più complessi e laboratori specializzati per i test, con centri di eccellenza che catalizzano il flusso di pazienti; altre regioni sono invece ancora in una fase di riorganizzazione e altre appaiono addirittura in stallo. C’è in generale una grande difformità nei tempi di recepimento delle norme, come per l’inserimento di farmaci nei prontuari regionali ed accade spesso che l’accesso a terapie innovative non sia garantito a tutti i cittadini italiani nello stesso momento.

Tornando sulle reti oncologiche regionali. Com’è possibile che ci sia così tanta disomogeneità e che la cura di una persona possa dipendere ancora dal luogo dove nasce?

Perché manca un’omogeneità nella governance e nell’effettiva implementazione delle reti oncologiche, che dovrebbe individuare i centri di eccellenza e creare percorsi integrati tra ospedale e territorio. L’integrazione dei servizi della Rete oncologica con l’attività territoriale prevista dal Dm 77 mostra anche in questo caso che le regioni del nord sono in una fase più matura rispetto a molte del sud. L’integrazione tra servizi ospedale territorio non può essere svincolata poi da un necessario processo di digitalizzazione e interoperabilità dei dati. Anche su questo i dati Agenas mostrano una certa disomogeneità tra regioni e tra Nord e Sud in particolare, con dati meno incoraggianti in regioni come la Sicilia, la Calabria e il Molise.

Che importanza ha l’elaborazione dei Pdta per i pazienti oncologici? E perché è importante che siano uniformi?

Il Pdta è uno strumento fondamentale per garantire omogeneità e offrire il miglior percorso possibile per una data patologia. Tuttavia, dalla loro introduzione, i Pdta sono stati interpretati in molti modi diversi, e questo ha portato a una grande disomogeneità di percorsi. I pazienti si aspettano che, indipendentemente dal luogo in cui si trovano, venga loro offerto il miglior percorso possibile, con standard uniformi a livello nazionale. Per questo è importante che le regioni abbiano Pdta che includano elementi comuni definiti a livello nazionale, con fasi e tempi certi, che devono essere rispettati e costantemente verificati.

E se una regione dotata di Pdta non rispettasse le linee-guida? Siamo sicuri che si tratti di uno strumento efficace?

Sarebbe utile rendere sempre più precisi e affinati i sistemi di monitoraggi e le verifiche degli obiettivi raggiunti e riorganizzare se necessario. Il lavoro di analisi è fondamentale per misurare l’impatto dei percorsi sugli esiti di salute. Bisogna prevedere meccanismi premianti per le regioni che rispettano le linee guida e, magari, sanzioni per quelle che non lo fanno. Un lavoro comune tra le regioni potrebbe aiutare a superare le criticità, valorizzando le best practice e scambiando soluzioni efficaci.

Da dove partiamo, quindi, per garantire questo accesso alle cure?

È necessario dare un segnale forte, con normative che vengano rispettate e implementate in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Solo così si potrà garantire un accesso alle cure tempestivo ed equo, senza differenze regionali.



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