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Se vuole contare domani, l’Europa deve agire oggi. Il bilancio di Borrell sull’Ue

Dopo cinque anni alla guida della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione europea, Josep Borrell fa un bilancio dei profondi cambiamenti a cui abbiamo assistito, non lesinando su critiche e moniti per il futuro. Secondo l’Alto rappresentante uscente, l’Europa deve ancora finire di svegliarsi dal suo sonno se vuole intercettare per tempo le sfide che si delineano all’orizzonte

Nel 2022 l’Europa era addormentata e la guerra d’Ucraina ha rappresentato una sveglia per il Vecchio continente, peccato che, una volta svegli, “non ci si può girare dall’altra parte” e rimettersi a dormire. In una delle sue ultime apparizioni pubbliche come membro della Commissione europea, Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha tenuto un discorso per tracciare un bilancio del suo mandato come capo del Servizio europeo per l’azione esterna (Eeas) e per delineare le sfide che la futura Commissione e gli Stati membri si troveranno a fronteggiare. Il discorso è stato tenuto in occasione della quarta edizione della European defence and security conference, l’evento che riunisce stakeholder e le maggiori realtà industriali della Difesa europea. Dal supporto all’Ucraina alle spese militari, passando per la riforma dei trattati e della governance europea, Borrell ha toccato molti punti cruciali, dipingendo un quadro poco rassicurante che invita l’Unione e tutti i suoi componenti a sviluppare una maggiore ambizione per non perdere l’appuntamento con la storia.

L’Europa circondata

Il tempo scarseggia e le minacce aumentano, dal 2021 il panorama securitario è “cambiato drasticamente” e quello che vediamo intorno a noi lo conferma. L’Europa è circondata da “un arco di fuoco che va da Gibilterra all’Artico”, passando per l’Ucraina, il Sahel, il Medio Oriente e il mar Rosso, senza dimenticare il rischio di un conflitto nei mari cinesi per Taiwan. A quasi tre anni dall’invasione russa, che ha dato inizio a questo moltiplicarsi di crisi, l’Europa non è ancora concorde né sulla natura di questi fenomeni né su cosa sia necessario fare in futuro. Borell guarda con apprensione alla lentezza e all’esitazione che hanno caratterizzato i Paesi europei nel rispondere a queste sfide, spesso troppo lentamente e in modo non soddisfacente. Secondo l’Alto rappresentante, con il coinvolgimento statunitense in Europa sempre meno scontato, l’Unione non può ulteriormente rimandare un cambiamento nel suo approccio alle questioni globali e alla sua stessa difesa. Per molto tempo l’Europa è stata al sicuro, protetta dal suo Alleato d’oltreoceano e senza conflitti che toccassero direttamente i suoi interessi, ma nell’odierno panorama internazionale, caratterizzato da una pericolosa tendenza al conflitto e alla rivalità, i ventisette sono deboli sia come singoli che come collettività. I passi in avanti ci sono stati, ma continuano a non essere abbastanza.

Il supporto militare all’Ucraina

“Abbiamo fatto molto, ma troppo lentamente” sostiene il vice presidente della Commissione europea uscente, riferendosi alle forniture militari inviate all’Ucraina. Secondo Borrell non è solo la consistenza (tutto sommato modesta) degli aiuti europei offerti a Kyiv il punto critico della discussione, quanto più i lunghi intervalli temporali che hanno scandito l’individuazione, la discussione e l’approvazione delle forniture. “Abbiamo iniziato mandando elmetti, ora mandiamo gli F-16 e non è poco” ma, tutte le volte, facendo passare molto tempo per discutere sulle eventuali reazioni russe all’invio di forniture aggiuntive. Le reazioni alla fine non sono mai arrivate e l’escalation non c’è stata ma, nel frattempo, si sono persi tempo e vite e, se si fosse agito più rapidamente, “forse la guerra sarebbe andata diversamente”. Sempre stando a quanto dichiarato da Borrell, Putin non si siederà al tavolo del negoziato finché la situazione sul campo non lo obbligherà a farlo e pertanto l’Europa deve continuare a supportare l’Ucraina, e riconoscere che “l’imperialismo russo è una minaccia esistenziale per l’Unione”. 

L’industria della Difesa e la necessità di un debito comune europeo

“Draghi ha detto che siamo troppo frammentati, questo non è un segreto. Ed è vero, siamo troppo frammentati perché siamo politicamente frammentati. Non siamo uno Stato, ma 27 Stati ognuno col suo bilancio e le sue politiche per la Difesa”. Borrell va dritto al punto affrontando quello che lui definisce “il circolo vizioso” dell’industria della Difesa europea. È vero che le linee di produzione sono poche ed è vero che non si trova la quadra su programmi e forniture, ma l’industria ha la volontà e le capacità per invertire il trend. Quello che manca è l’impegno politico da parte degli Stati e delle istituzioni europee i quali, quando viene il momento di mettere mano al portafoglio, rallentano e prendono tempo. “Quello che chiedete c’è e la produzione si può alzare, ma non per un anno solo”, questo è quanto si è sentito dire Borrell dai rappresentanti dell’industria, che lamentano la fugacità dei programmi di ammodernamento militare e l’eccessiva dipendenza dall’opinione pubblica. Basta un titolo di giornale a far alterare gli umori, ma ci vogliono anni per impostare una produzione industriale della portata necessaria a rendere l’Europa difensivamente autonoma e capace (cosa che oggi non è). Il cambiamento auspicato dall’Alto rappresentante non potrà essere raggiunto tramite allocazioni straordinarie e acquisti una tantum, ma solo attraverso un piano di ammodernamento a lungo termine. Ma anche nella prospettiva di un impegno politico concreto per rendere l’Europa un attore militare credibile, c’è un problema. I fondi sono pochi. Facendo sponda a Draghi, Borrell sostiene che solo un debito comune europeo può mobilitare i fondi necessari ed enumera i tre propositi che dovrebbero alimentare tale sforzo: aumentare gli aiuti militari all’Ucraina, potenziare la defence readiness dell’Ue e innalzare il livello tecnologico del settore Difesa. Tutto ciò però dovrà collocarsi in una pianificazione di ampio respiro, che punti a “comprare europeo”, a ridurre la dipendenza dall’esterno e a focalizzarsi sulla ricerca per sviluppare già da oggi le capacità militari di domani.

L’avvertimento per il futuro

Le parole di Borrell sono dure quando dice “tutti si sono svegliati, ma non tutti si sono voluti alzare”, eppure la metafora risulta calzante nel descrivere le profonde divisioni che attraversano oggi l’Europa, apparentemente incapace di cambiare sé stessa e concepirsi come un attore globale reale. Questo cambiamento dovrà avvenire su entrambi i livelli, sia quello nazionale sia quello comunitario, passando per l’aumento delle spese militari e la modifica della governance interna, con la modifica dei Trattati o senza. “Invito a non creare ogni volta nuove strutture, ma a espandere quelle che già abbiamo”, ha sottolineato Borrell, ricordando che anche nel caso del contrasto alla Pandemia l’Unione fu in grado di fare molto pur rimanendo all’interno dei limiti previsti dai Trattati e rompendo il tabù del debito comune. Il momento è grave e il tempo poco, ma l’Europa, forse ancora un pò assonnata, rimane in grado di svegliarsi. L’industria c’è, le capacità pure. Quello che manca (ancora una volta) è l’ambizione. 


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