La solidarietà supera ogni individualismo e consente a uomini e famiglie, gruppi e comunità locali, ordini professionali ed associazioni di categoria, dei quali però si è sentita l’assenza all’ultima settimana sociale, di partecipare per il bene comune alla gestione delle attività economiche. L’analisi di Riccardo Pedrizzi
La cinquantesima edizione delle Settimane sociali tenutasi a Trieste è ormai in archivio e come le ultime tenutesi precedentemente negli ultimi anni, pare non aver lasciato nel mondo cattolico un particolare segno, non essendo rilevabile alcuna strategia sul piano dell’impegno politico (quali rapporti sono stati allacciati con tutte le forze politiche presenti in parlamento), sociale, (con quali soggetti sindacali, salvo la Cisl, si è aperta un’interlocuzione), economico (con quali rappresentanti di categoria sono stati fatti almeno degli approcci pur essendoci importanti uomini cattolici all’interno di Abi, l’associazione delle banche, di Ania, che raccoglie tutte le compagnie di assicurazioni, di Confindustria e di tutto l’arcipelago della categorie imprenditoriali. Eppure l’argomento scelto ne avrebbe potuto dare lo spunto e l’occasione.
Oggi che è grandemente aumentata la complessità dei problemi e la ripresa dell’esperienza prestigiosa delle Settimane Sociali, che pur aveva nel passato notevolmente contribuito al formarsi di una moderna coscienza civile dei cattolici italiani, avrebbe potuto e dovuto impegnarsi in un’iniziativa innovativa, ma fortemente radicata nella Tradizione del cattolicesimo sociale (Toniolo tanto per citare uno degli esponenti più significativi ed importanti). Il tema che era stato scelto per la recente edizione della Settimana Sociale Al cuore della democrazia, rappresenta una questione molto importante per il nostro millennio. Anche se è vero che la Chiesa non offre un modello concreto di governo o di sistema economico (cfr Centesimus annus, n. 43), “la Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno” (ibidem, n. 46).
La democrazia ai nostri giorni deve affrontare gravi problemi. Il primo fra tutti è la tendenza a considerare il relativismo intellettuale come il corollario necessario di forme democratiche di vita politica. Da tale punto di vista, la verità è determinata dalla maggioranza e varia secondo transitorie tendenze culturali e politiche. Quanti sono convinti che certe verità siano assolute e immutabili vengono considerati irragionevoli e inaffidabili. D’altro canto, in quanto cristiani crediamo fermamente che “se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia” (Centesimus annus, n. 46).
Le altre questioni riguardano le sfide che nell’odierno mondo economico, tecnologico, finanziario e produttivo, organizzativo e creditizio, mediatico e informatico, trovano il terreno fertile per un attacco alle regole democratiche. “Il tecnocrate, il bancocrate, il tecnoburocrate, il manager, – scrive in un suo bel libro: Concetti e realtà della politica (Carocci Editori, Roma 2015) il senatore Prof. Domenico Fisichella, costituiscono di fatto centri oligarchici che mirano a imporsi nel nome dell’efficienza, della competenza, della produttività, del calcolo economico, categorie giudicate improprie ed estranee al comportamento politico.
“Oltretutto nelle società post-industriali oggi non c’è un attacco frontale alla democrazia… agisce però una delegittimazione per vie interne del sistema democratico, che ne svuota progressivamente i presupposti”, scrive Fisichella. “Predomina cioè “l’idea che la politica sia il dominio dell’incompetenza e dell’inefficienza”. Per cui occorre porsi la domanda se di fronte alle trasformazioni in atto la “democrazia dei moderni”, avrà la forza e la capacità di resistere.
In questo scenario per niente esaltante dinanzi alla pretesa laicista di relegare sbrigativamente nel religioso il cristiano e di fronte al pericolo di un pluralismo indifferente, occorre ridare al più presto slancio e contenuti ed una proposta che, partendo dalla fede, proponga una sua concezione dell’uomo, della storia e della società. Da ciò discende che un impegno sociale efficace e fecondo non sarà possibile senza la ricerca e l’affermazione della verità sull’uomo e dell’uomo.
E senza rilanciare la Dottrina Sociale Cattolica come contributo sempre originale di idee, di programmi e di sentimenti, per affermare che l’unico programma politico, sociale ed economico è quello che “diverge radicalmente dal programma del collettivismo, proclamato dal marxismo e realizzato in vari Paesi del mondo…”… ed… “al tempo stesso differisce dal programma del capitalismo praticato dal liberalismo e dai sistemi politici, che ad esso si richiamano”, cosi come testualmente recita la Laborem exercens di Giovanni Paolo II.
In particolare bisogna applicare e vivere i due principali principi della Dottrina sociale cattolica: quello della solidarietà e quello della sussidiarietà.
Virtù umana e cristiana, la solidarietà (meglio sarebbe dire: la carità) supera ogni individualismo e consente a uomini e famiglie, gruppi e comunità locali, ordini professionali ed associazioni di categoria, quindi tutti quei corpi intermedi citati all’inizio e dei quali si è sentita l’assenza all’ultima settimana sociale, di partecipare per il bene comune alla gestione delle attività economiche, politiche e culturali, senza che ne venga lesa per il principio di sussidiarietà la legittima autonomia dei vari corpi sociali intermedi.