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Così Turchia ed Egitto difendono gli spazi marittimi somali. L’analisi dell’amm. Caffio

Mogadiscio, oltre al nostro Paese che da sempre le è vicino, ha nuovi amici: Egitto e Turchia si sono infatti imposti sulla scena come attori fortemente interessati ad aiutarla con iniziative dal forte peso geopolitico. Ecco quali nell’analisi dell’ammiraglio Fabio Caffio

Dopo decenni di travagliate vicende interne e dopo la crisi della pirateria del Corno d’Africa determinata dal collasso delle proprie strutture statali, la Somalia pare finalmente avviata verso il rafforzamento di integrità territoriale, stabilizzazione e sviluppo. A favorire la situazione somala c’è, tra l’altro, la fine dallo scorso dicembre dell’embargo sulle forniture di armi decretato nel 1992 dalle Nazioni unite e sinora controllato dalla missione antipirateria Eunavfor “Atalanta” che è tuttora operativa al largo del Corno d’Africa. Anche l’Italia – presente con un proprio contingente nell’ambito della missione di capacity building EUTM Somalia – ha potuto così riprendere l’assistenza militare con la cessione di quattro elicotteri militari Bell 412.

Ma Mogadiscio, oltre al nostro Paese che da sempre le è vicino, ha nuovi amici: Egitto e Turchia si sono infatti imposti sulla scena come attori fortemente interessati ad aiutarla con iniziative dal forte peso geopolitico.

Il Cairo è intervenuto con decisione, a difesa di Mogadiscio, nella crisi indotta dalle ambizioni dell’Etiopia di cercare uno sbocco al mare sulle coste somale, sia nell’area settentrionale dell’autoproclamata Repubblica del Somaliland, sia nella zona meridionale ove c’è il porto di Chisimaio. Adis Abeba, dopo aver perso trent’anni fa i porti eritrei di Assab e Massaua, ha ottenuto un’area portuale a Gibuti ed ha rivolto le sue attenzioni al porto di Berbera nel Somaliland; questi, in cambio del proprio riconoscimento, darebbe in uso 20 kilometri di coste. Per contrastare queste minacce all’integrità territoriale somala, l’Egitto sta quindi negoziando, nell’ambito dell’Unione africana, l’invio di una forza di supporto e stabilizzazione che opererà in tutta la Somalia ed in particolare nella regione di Ghedo (l’Oltregiuba della ex colonia italiana) al confine col Kenya in cui vi sono formazioni terroristiche.

Ankara, per parte sua, è presente da anni in Somalia fornendo assistenza umanitaria e sostenendo progetti sociali ed economici. Ma ora questa stretta relazione bilaterale si avvia ad assumere un nuovo aspetto geopolitico destinato a rafforzare la carente marittimità della Somalia lungo i più di 3000 km delle sue coste. Mogadiscio ha infatti concesso a società turche permessi di ricerca in varie zone della sua Zona economica esclusiva (Zee). Le attività offshore di Ankara saranno condotte con vari mezzi quali la “Oruc Reis” (nota per l’attività in Mediterraneo svolta nella Zee pretesa anche dalla Grecia). Le imbarcazioni da ricerca saranno scortate da navi da guerra della Marina turca. Ma quali sono le minacce contro cui saranno schierate queste navi? In prima battuta verrebbe da pensare a pirateria e terrorismo marittimo mai scomparsi da quei mari. Ma ci potrebbe essere un’altra ragione: il contenzioso marittimo tra Somalia e Kenya sul confine laterale delle proprie Zee prossimo alla regione di Ghedo, risolto nel 2021 dalla Corte internazionale di giustizia con una sentenza che il Kenya non accetta. Le Zee dei due Paesi continuano dunque a sovrapporsi in un triangolo a sud del parallelo passante per il punto terminale del loro confine terrestre. Da notare che nel 2012 la nostra Eni aveva ottenuto dal Kenya permessi di ricerca ricadenti nell’area di overlapping contesa dalla Somalia: non si hanno tuttavia notizie sulla loro effettiva attivazione.


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