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Dalla Liguria la conferma che la politica ha ancora lavoro da fare. L’opinione di Guandalini

Mentre l’Italia, alle prese con il caos spionaggio illegale, si domanda dove sta il vero potere, i partiti registrano l’ulteriore massiccia disaffezione, anche identitaria, verso il voto. La premier deve risolvere alcuni dossier pesanti che marcano l’azione di governo mentre la segretaria del Pd dovrà ridefinire le regole inclusive del campo largo. L’opinione di Maurizio Guandalini

È paradossale, e patetico, che di fronte a un Paese, dove la politica non è potere fortissimo, e nemmeno forte, appesa allo spionaggio del ricatto ad oltranza, vi sia da discutere il futuro del Governo e dell’opposizione, e quindi dei loro leader, a partire dai risultati delle regionali in Liguria. È una nazione alla quale piace analizzare quello che succede nel tinello di casa invece di applicarsi alla visione. Che diviene sostanza. Il potere, quello vero, di cambiare le cose. Evidente che quest’ultimo aspetto rimane letteratura. Anche dalla Liguria arriva il segnale, attivo da un po’, dalle consultazioni elettorali. Preoccupante. Che la politica fatta in questo modo ha stancato. La gente si astiene massicciamente e non presta il fianco all’improvvisazione. A una classe dirigente che non c’è. Che disillude nel segno del cambiamento. Delle risposte da dare. Con modalità chiare, convincenti, realizzabili in tempi sopportabili. Gli elettori non vedono più le differenze tra centrodestra e quello che c’è del centrosinistra. Entrambi senza potere. Qui la crisi è traversale. La stessa. Così il terremoto dentro ai partiti. Più divisi che mai. Dai sobbalzi odierni di Fratelli d’Italia, tratti dalle lacerazioni in corso d’opera nel ministero della Cultura e suoi funzionari, al Pd nutrito da undici, dodici correnti certificate, in preda al non decidere mai, preferendo le modeste cordate di parte per nominare compagni di cordata qua e là in posti vacanti mentre i campi larghi sono ristretti e coltivati a cavolo nero. L’elenco dei partiti in ebollizione prosegue con i 5 Stelle che si divideranno, un po’ con il partito di Conte, altri con Grillo (c’è aria di estinzione a breve). E quindi la Lega dove è inimmaginabile non vi sia un ruolo per dirigenti illuminati come Zaia preferendo il generale ‘forever’ Vannacci.

La politica è purtroppo sgualcita. Al fondo il solito tarlo: perché non si riesce cambiare le cose? Chi ha il potere per farlo? Mi prende da spunto un’interessante intervista, al Fatto Quotidiano, a Marcello Veneziani, un intellettuale capace di destra-destra che sferra un giudizio duro sulla premier. Un ragionamento perfettamente speculare al Partito democratico. Che ha una classe dirigente d’incontrastato valore ma che una volta catapultata al Governo ha sfibrato la sua azione rendendo irriconoscibile l’esprit di sinistra diluito in un maturo trantran amministrativo. Ripercussioni che hanno sfigurato lo stesso Pd e quindi i vari leader di quel partito. La Schlein cerca tutti i giorni, come può, a dare un’anima al Pd (e il risultato pesante della Liguria, primo partito che doppia Fratelli d’Italia è la conferma che Schlein sta facendo bene). Non è occasionale e sporadico il recupero di Enrico Berlinguer. All’atto pratico, però, vi sono le paturnie basse del citato tinello della politica.

Il risultato della Liguria, per stare a una descrizione grezza, non aggiunge granché a quello che già sappiamo. La figura apprezzata (più nelle province che nella sua Genova) di Bucci ha colmato il rischio scatafascio del centrodestra. Mentre nel centrosinistra Orlando, non proprio performante nella sua Liguria, inserito in un mezzo campetto largo in cui è stato emarginato Renzi, figlio della colpa, non ha convinto. Per Meloni niente di nuovo sotto il sole. Il suo irrisolto è una pila di dossier senza risposta. Ma almeno terrà buoni quelli del partito. Schlein qualche colpetto in più lo sente. Può darsi che qualcuno pensi di sostituirla in corsa. Che sarebbe una mezza tragedia per un partito bucherellato a gruviera. La segretaria del Pd è senza colpe. E insostituibile. Il default è la coalizione mai nata. Che non si cura con il gioco della bottiglia. Le killer application che ha davanti sono snervanti. Le prossime regionali in Emilia Romagna che il caos alluvionale (e responsabilità varie da allocare) rilascia qualche preoccupazione ulteriore al Pd insieme alla crisi dei 5 Stelle e l’abbraccio anche con Italia Viva. E poi c’è il vulnus della regione Campania con il no al terzo mandato per De Luca che comunque è sempre un raccogli voti non indifferente. A seguire ci sono la serie di risposte attese su temi dove la sinistra non è emersa, non si è distinta a iniziare dalla guerra in Ucraina. E infine ridefinire il modo di stare nel campo largo. I 5 Stelle o quelli di Conte (il quale deve sfoltire i personali sogni di gloria) hanno cifre residuali e non sono nelle condizioni di porre dei veti come nel caso ligure, qualche giorno prima del voto, dove per qualche migliaio di preferenze (i renziani esclusi) Orlando ha perso. Imparare a stare insieme è la sfida della credibilità agli occhi degli elettori che vogliono capire bene l’affidabilità dell’alternativa alla Meloni. Il principio generale, non escludere nessuno, va affiancato dalla regola basica in uso nel centrodestra: fa il premier il leader del partito che prende più voti.

Va ricostruita la ‘passionaccia’ per la politica. La ricostituzione del suo ruolo. Identitario. La sua incidenza. E vale per Schlein. Come per Meloni che non si può sentire risolta dai dati di gradimento per la sua persona (ma pessimi per il Governo). Saper osare e fedeltà a quello che si promette. Tre dati che in questi giorni complessi hanno stravolto ogni logica di umana civiltà per un Paese avanzato. O hai i soldi o non ti curi: 480 giorni di attesa per una visita oncologica. Un aumento delle pensioni minime di 6 euro. Al 2 ottobre l’Italia ha speso appena 53 miliardi del Pnrr, un quarto di quel che dovrebbe realizzare entro il 2026. Intorno abbiamo assistito alla terza alluvione in un anno in Emilia Romagna senza una mossa green da transizione ecologica riparatrice: con 60-70 miliardi di euro si può mettere in sicurezza l’Italia dal progressivo dissesto idrogeologico. Se non è una mossa green questa vuol dire che non abbiamo capito nulla. E per finire il tema dell’incipit iniziale. Dove sta il potere? L’esistenza di zone d’influenza diffusa che attraverso metodi illeciti condizionano, attraverso il ricatto e la delazione, la politica, e non solo, suscita una preoccupazione riferita alla solidità dello Stato di diritto.

L’elezione in Liguria, a parte quei piccoli equivoci senza importanza, di corredo, prosegue un trend preoccupante manifestato alle elezioni europee, il calo di partecipazione e d’interesse dei cittadini. Saranno in grado le leadership attuali a invertire questo cammino stanco?



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