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Lo yuan perde colpi. Così la de-dollarizzazione cinese finisce nel limbo

La moneta del Dragone continua ad arrancare rispetto a un biglietto verde in forma come non mai. Un trend destinato a durare con Wall Street ormai in assetto da battaglia

La de-dollarizzazione cinese è sempre più un mito. E non solo perché Wall Street si sta attrezzando per aumentare la sua capitalizzazione, proprio in risposta alla sfida al biglietto verde lanciata dai Brics. Il fatto è che lo yuan continua a perdere colpi nei confronti del dollaro. Un esempio? Martedì scorso la moneta cinese ha toccato il minimo degli ultimi due mesi rispetto al biglietto verde. Più nel dettaglio, lo yuan spot ha aperto le contrattazioni dello scorso martedì a 7,1320 per dollaro ed è sceso a un minimo di 7,1367 nelle contrattazioni mattutine, il suo livello più debole da settimane a questa parte.

E il dollaro? La valuta americana vive un momento estremamente felice, visto che si aggira vicino al massimo degli ultimi 3 mesi, sostenuto da una solida economia statunitense e con il mercato del lavoro a pieno regime. Le scommesse sulla vittoria dell’ex presidente Donald Trump alle elezioni del 5 novembre hanno anche fatto salire i rendimenti statunitensi, poiché i mercati prevedono politiche che potrebbero ritardare i tagli dei tassi di interesse messi in atto dalla Fed nelle ultime settimane.

E così, dopo mesi di calma apparente, sono riemerse quest’anno le voci su una possibile brusca svalutazione dello yuan (o renminbi). Le pressioni ribassiste di mercato pongono la Banca popolare cinese alle strette, in un periodo in cui il gigante asiatico ha bisogno di una valuta abbastanza debole da sostenere la ripresa dell’export e della crescita complessiva e non frenare la politica monetaria accomodante e allo stesso tempo di una valuta abbastanza forte da evitare deflussi disordinati di capitali. Al di là dell’impatto puramente domestico, un’eventuale svalutazione del renminbi risulterebbe controversa all’estero: infiammerebbe ancora di più le tensioni commerciali con gli Stati Uniti e l’Unione europea e alimenterebbe dubbi sul processo di internazionalizzazione dello yuan.

Tutto questo mentre i profitti delle aziende industriali nazionali cinesi, quelle grandi e a controllo statale, hanno registrato la peggior caduta dell’anno, in termini di profitti, crollando del 27,1% a settembre, rispetto allo stesso mese del 2023. Questo significa che, nel corso di 365 giorni, le imprese che di fatto tengono in piedi l’economia cinese, hanno perso quasi il 30% degli utili. Attenzione, non è finita. Anche dal confronto mese su mese, ovvero tra settembre 2024 e agosto dello stesso anno, emerge un crollo del 17,8%.


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