Skip to main content

Tensione nei Balcani. Cosa c’è dietro il riarmo della Serbia

Non c’è solo Ankara tra i massimi sostenitori di Vucic, ma probabilmente anche la nuova amministrazione americana di Donald Trump con cui il presidente serbo si è preoccupato negli anni di mantenere un costante rapporto, fatto di mediatori in loco e di relazioni. Tra questi spicca l’ex inviato di Trump per il dialogo Serbia-Kosovo, Richard Grenell, diplomatico, al momento in attesa di un incarico che, già in occasione della convention repubblicana di Milwaukee aveva messo l’accento sull’importanza di una buona cooperazione tra Stati Uniti e Serbia

La Serbia sta investendo molte risorse nel riarmo delle sue forze armate e, in prospettiva, diventerà nel breve periodo la più grande forza militare nei Balcani occidentali. I Paesi confinanti sono allarmati, ma soprattutto si apre una riflessione di scenario su come le potenziali penetrazioni esterne anche in dossier locali, come il caso Kosovo e le mire cinesi in alcuni Paesi (come Bosnia e Albana), possano influire nella destabilizzazione complessiva. Il tutto in un momento strategico per i Balcani, con l’ufficialità data pochi giorni fa dell’avvio dei negoziati di adesione all’Ue dell’Albania e gli incroci con l’amministrazione Trump.

Qui Belgrado

“Siamo un Paese neutrale ma ci dobbiamo difendere” è stata la tesi che il premier Aleksandar Vucic ha sostenuto per motivare la sua scelta, che riguarderà missili e droni di produzione nazionale ma in collaborazione con la Turchia, accanto a iniziative mirate come l’aumento dei salari alle Forze armate e il ritorno della leva obbligatoria. Nello specifico, la cooperazione congiunta sull’asse Ankara-Belgrado includerà la produzione di droni Bayraktar, passaggio avvalorato anche dalle parole di Recep Tayyip Erdogan, secondo cui “la Serbia ha determinate capacità e come Paesi amici possiamo sviluppare le nostre capacità insieme”.

Proprio il gancio con la Turchia è utile per immaginare gli scenari che potranno aprirsi nei Balcani: su tutti la determinazione turca di proteggere la stabilità in Bosnia-Erzegovina, in tandem proprio con la Serbia che sostiene non solo l’integrità territoriale della Bosnia, ma anche l’integrità della Repubblica Srpska al suo interno. E farlo potendo contare su mezzi e risorse per Vucic sarebbe cosa gradita.

Qui Ankara

C’è un altro elemento che mette in comune Vucic e Erdogan, oltre i droni: la questione kosovara, in cui il presidente turco vuole cimentarsi con i galloni da mediatore, per poi chissà replicare il ruolo in altri tavoli più complessi (come ad esempio Kiev). La Turchia vanta buoni rapporti con Pristina e Belgrado, e il recente mini-tour nella regione lo dimostra ulteriormente. I legami bilaterali tra Turchia e Serbia hanno fatto progressi costanti anche in altri settori, ma Belgrado e Ankara restano in disaccordo sulla questione dell’indipendenza del Kosovo. Ciononostante, cercano la via della stabilità con una serie di iniziative parallele, come appunto il potenziamento della difesa serba e la presenza turca in seno alla Kfor. Da circa un anno la Turchia infatti ha assunto il comando della Forza di mantenimento della pace del Kosovo guidata dalla Nato.

Scenari

Non c’è solo Ankara tra i massimi sostenitori di Vucic, ma probabilmente anche la nuova amministrazione americana di Donald Trump con cui il presidente serbo si è preoccupato negli anni di mantenere un costante rapporto fatto di mediatori in loco e di relazioni altolocate. Tra questi spicca l’ex inviato di Trump per il dialogo Serbia-Kosovo, Richard Grenell, diplomatico, al momento in attesa di un incarico che, già in occasione della convention repubblicana di Milwaukee aveva messo l’accento sull’importanza di una buona cooperazione tra Stati Uniti e Serbia e sulla rilevanza strategica dei Balcani occidentali.

Grenell ha sempre ricordato il consiglio che Trump gli diede quando lo investì di quell’incarico:”‘Andate lì ed espandete l’economia in modo che i giovani abbiano una ragione per restare nella regione, non lasciateli andare in Polonia, Germania, Ungheria per lavoro”.



×

Iscriviti alla newsletter