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Ingerenze cinesi nella ricerca italiana. Il caso Bgi

Presentando il nuovo Piano d’azione per proteggere l’università e la ricerca italiane, il sottosegretario Mantovano ha sottolineato un esempio emblematico: la collaborazione tra un’azienda italiana e una straniera per il sequenziamento del Dna, con dati trasmessi all’estero. Non ha fatto nomi ma un esperto suggerisce che il caso potrebbe riguardare il gigante biotech che in Italia lavora con istituti e università

Tra gli esempi di casi che devono richiedere “particolare attenzione” quando si parla di ingerenze straniere nella ricerca italiana c’è quello di “una collaborazione tra un’azienda italiana e un’azienda di uno Stato straniero sul sistema di sequenziamento del Dna con dati trasmessi tutti, nel dettaglio, nello Stato straniero”. È l’unico esempio fatto ieri, senza alcun riferimento esplicito alle aziende coinvolte, dal sottosegretario Alfredo Mantovano, Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, durante la conferenza stampa per il varo del Piano d’azione nazionale per tutelare l’università e la ricerca italiane dalle ingerenze straniere.

A chi si riferisce il sottosegretario? Difficile dirlo, sia per la segretezza che è la cifra del lavoro dell’intelligence sia perché di casi simili non ce ne sarebbe soltanto uno. Lo racconta un esperto della materia, che ha pochi dubbi: lo Stato straniero coinvolto potrebbe essere la Cina; l’azienda, invece, il colosso globale BGI Group, già Beijing Genomics Institute, con sede a Shenzhen, sostenuto da società statali, che nel 2023 ha fatturato oltre 600 milioni di dollari.

Nel luglio 2020, il Bureau of Industry and Security del dipartimento del Commercio degli Stati Uniti ha inserito due filiali di BGI nella sua Entity List per aver contribuito a presunte violazioni dei diritti umani nella regione a maggioranza uigura dello Xinjiang. Nel marzo 2023, lo stesso dipartimento del Commercio ha aggiunto BGI Research e BGI Tech Solutions (Hong Kong) alla Entity List con accuse di sorveglianza e repressione delle minoranze etniche. Da quest’anno BGI compare in un elenco del dipartimento della Difesa americano come una società militare cinese che opera negli Stati Uniti. A settembre la Camera dei rappresentati degli Stati Uniti ha approvato il Biosecure Act, che se passasse al Senato vieterebbe, per ragioni di sicurezza nazionale, contratti federali con cinque aziende biotecnologiche cinesi – WuXi AppTec, WuXi Biologics, BGI Group, MGI e Complete Genomics – e con quelle che fanno affari con loro.

L’esperto spiega il vantaggio strategico di un’azienda come BGI all’interno del sistema cinese: la raccolta di massa di dati sanitari, elaborati poi con l’intelligenza artificiale, può assicurare conoscenze importanti sulle tendenze del settore. Per esempio, se i dati suggeriscono una crescita dell’ipertensione in Europa, allora il governo cinese potrebbe incentivare le aziende farmaceutiche a produrre farmaci contro l’ipertensione.

Con il Covid-19 si è assistito al tentativo cinese di rafforzare la propria posizione nei settori della sanità e della genomica in Italia, continua l’esperto. Che cita gli sforzi, anche tramite le associazioni dei cinesi d’oltremare che sono spesso legate al Fronte Unite, nella “diplomazia delle mascherine” durante la pandemia (con tanto di bot attivati sui social, come rivelato da Formiche.net) e quelli per favorire l’ingresso di società cinesi tecnologiche e genomiche (proprio come BGI).

Nel database dei bandi di gara e contratti del Consiglio Nazionale delle Ricerche (principale ente pubblico di ricerca italiano sottoposto alla vigilanza del ministero dell’Università e della ricerca), che raggruppa anche gli istituti afferenti e va dal 2019 a oggi, BGI compare tre volte. C’è un contratto del 2022 tra l’Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria di Milano e BGI, tramite la filiale (quella nella Entity List americana) BGI Tech Solutions (Hong Kong) Co. Limited: da 945,45 euro per “servizio sequenziamento DNA”. Lo stesso istituto ha pagato 569,50 euro, sempre alla filiale di Hong Kong di BGI, per un “servizio di sequenziamento” anche nel 2020. “Prodotti chimici” è la dicitura di un contratto del 2021 tra l’Istituto di Biostrutture e Bioimmagini e BGI (anche in questo caso tramite la filiale di Hong Kong) del valore di 1.540 euro (liquidati 1.805,31).

Cifre che possono sembrare basse. Ma oggigiorno il sequenziamento del genoma è diventato molto più economico, anche se l’accesso alle tecnologie rimane ancora limitato. Infatti, per sequenziare un genoma umano completo con le tecnologie di nuova generazione possono bastare poche centinaia di euro.

BGI ha contratti anche con le università italiane. Qualche esempio: tramite la filiale di Hong Kong, un contratto da 4.159,33 euro (costo totale 5.074,38 euro) con l’Università di Torino nel 2022 per “sequenziamento esoma e genoma”, uno da 298,50 euro nel 2021 con l’Università degli Studi di Sassari per “sequenziamento genomico” e uno da 930 euro nel 2023 con l’Università di Perugia per un “servizio di sequenziamento necessario per lo svolgimento delle attività di ricerca scientifica sul Linfoma Hodgkin”; tramite la filiale polacca BGI Tech Solutions Poland, un contratto per “prestazioni tecnico-scientifiche a fini di ricerca” da 3.489,50 euro datato 2024; sempre di quest’anno, tramite la filiale olandese Bgi Tech Solutions (Europe) B.V., un contratto da 1.698 euro (costo totale 2.071,56 euro) per “servizio di sequenziamento” con l’Università di Torino. Inoltre, tramite BGI Europe, ha una collaborazione esclusiva con Bioscience Genomics di San Marino, spin-off accademico partecipato dall’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e da Bioscience Institute S.p.A.

A maggio cinque europarlamentari dei maggiori gruppi a Strasburgo hanno firmato un intervento su Euronews per dire che quando si parla di genomica, con la Cina non basta il de-risking. BGI viene citata esplicitamente. Ricercatori, imprese e cittadini “sono esposti”, scrivono gli europarlamentari auspicando “solidi quadri normativi e controlli di sicurezza specificamente adattati al settore della genomica”. Tra le misure da intraprendere suggerite ci sono: “Processi di selezione rigorosi, limitazioni all’esportazione di dati, controlli in loco sulle aziende con sede in Paesi stranieri ostili e promozione di alternative con sede nell’Unione europea per la ricerca e l’analisi genomica”.

A febbraio, invece, Anna Puglisi, allora senior fellow del Center for Security and Emerging Technology della Georgetown University e oggi visiting fellow alla Hoover Institution alla Stanford University, ha pubblicato una lunga analisi per spiegare come la strategia cinese nel campo della genomica non sia inedita, anzi: come sul 5G, è fatta di sussidi, finanziamenti e sostegno diplomatico in un mercato in cui manca un accesso equo, scriveva mettendo in guardia gli Stati Uniti e l’Occidente in generale.



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