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L’altra pandemia cinese. Gli Npl travolgono le banche

Da quando l’emergenza sanitaria è pressoché terminata, il Partito comunista ha imposto agli istituti di aumentare i prestiti alle imprese e alle famiglie, non tenendo conto che il mattone è sempre moribondo. Il risultato è l’ennesimo autogol

Il Covid, ufficialmente, nel Dragone è storia di anni fa. Ma gli strascichi di quella terribile esperienza, che proprio nel Dragone prese corpo e forma, ci sono ancora. Questi i fatti. Da quando Pechino ha dichiarato sostanzialmente chiusa l’emergenza sanitaria, il Partito comunista ha cominciato a pressare le grandi banche del Paese, soprattutto quelle a controllo pubblico, affinché aumentassero i prestiti all’economia reale, ovvero famiglie e imprese. Operazione tecnicamente impossibile senza una robusta iniezione di liquidità da parte del governo. Soldi che sono arrivati, in parte, dal mercato, tramite tre gigantesche operazioni emissioni di debito sovrano.

Ora, i prestiti sono stati concessi, i finanziamenti erogati, ma qualcosa è andato storto. Il mattone, che è una delle gambe dell’economia cinese, non è riuscito a rianimarsi dopo il crollo innescato dalla pandemia. Le imprese dunque hanno continuato a non fatturare, a pagare gli stipendi e dunque a non consentire alle famiglie di spendere. Ma, soprattutto, mettendo nelle condizioni milioni di cinesi di non restituire i prestiti ottenuti dalle banche, su ordine di Pechino. Risultato? Un aumento spropositato delle sofferenze bancarie, che presto si trasformeranno in perdite, aprendo la strada a potenziali fallimenti.

Gli ultimi dati raccontano di una gestione del credito inesigibile, dunque uno step più in là della sofferenza, di 470 miliardi di dollari nella sola Cina. Le cui banche detengono 1,1 trilioni di dollari di prestiti non performanti e a rischio speciale, secondo gli ultimi dati del governo, con un aumento del 29% dalla fine del 2019, cioè da prima della pandemie. Per esempio, China Bohai Bank ha annunciato la vendita di attività non performanti per un valore di 4 miliardi di dollari.

Mentre la Bohai Bank, con sede nella metropoli settentrionale di Tianjin, è stata duramente colpita dalla crisi immobiliare del Paese, tanto che quasi la metà del portafoglio prestiti, pari a 932 miliardi di yuan (129 miliardi di dollari), era concentrato nel nord e nel nord-est della Cina, dove il profitto prima delle imposte è crollato a 1,7 miliardi di yuan, rispetto ai 5,5 miliardi di yuan del 2021.  Ancora, a fine 2023, dunque mesi addietro, la situazione pareva già critica, con il valore dichiarato dei prestiti in sofferenza del settore bancario cinese che ammontava a oltre tre trilioni di yuan. Il rapporto Npl-prestiti era già dell’1,59%. 

Insomma, nel tentativo di salvare l’economia Pechino avrebbe dovuto prima valutare le condizioni di solvibilità del mattone. I dati pervenuti in queste ore confermano la crisi senza fine del comparto immobiliare, con i prezzi delle case che continuano ad accelerare la discesa, segnando un -5,9% ad ottobre dopo il -5,8% di settembre. Si tratta, e anche questo è il punto, del calo più marcato dal 2015, cioè anni prima che scoppiasse la grave crisi cinese. Come se non bastasse, anche gli investimenti immobiliari sono diminuiti del 10,3% nei primi 10 mesi del 2024. Il denaro si restituisce, sempre.


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