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Sotto l’albero di Xi un mattone ancora amaro

​Per la seconda economia globale è già tempo di previsioni. E secondo Fitch anche il prossimo anno il comparto immobiliare non si riprenderà, vanificando ancora una volta le speranze di crescita. Intanto una manina invisibile prova a salvare il rublo

La Cina potrebbe continuare a masticare amaro anche il prossimo anno, fallendo ancora una volta gli obiettivi di crescita. Non tanto quelli fissati dal partito, c’è sempre tempo di fare qualche ritocchino, semmai quelli che il mercato si attende. E così, mentre il comparto bancario viene travolto da un’ondata di sofferenze bancarie, quasi una crisi di rigetto post-pandemia, Fitch mette le mani avanti. E dice che sì, il comparto immobiliare che tiene in piedi l’economia (ne vale un terzo) ha ancora da soffrire.

Dunque, spiega l’agenzia di rating americana, come riportato da Bloomberg, la crisi immobiliare in Cina è destinata a protrarsi nel 2025, “poiché prezzi e vendite rimangono deboli nonostante la spinta del governo a stimolare la domanda”. Tradotto, i prezzi delle case nuove in Cina scenderanno di un altro 5% nel 2025, più o meno allo stesso ritmo nel 2024. “Il punto di svolta per il settore immobiliare non è ancora arrivato. Negli ultimi due mesi la Cina ha lanciato il suo più incisivo pacchetto di misure per rilanciare il mercato immobiliare, tra cui la riduzione dei costi di prestito sui mutui esistenti, l’allentamento delle restrizioni agli acquisti nelle grandi città e la riduzione delle tasse sugli acquisti di case. Ma non sembra esserci una svolta”.

L’altro fronte, che poi è direttamente connesso al mercato immobiliare, è quello delle sofferenze, poc’anzi citato. Gli ultimi dati raccontano di una gestione del credito inesigibile, dunque uno step più in là della sofferenza, di 470 miliardi di dollari nella sola Cina. Le cui banche detengono 1,1 trilioni di dollari di prestiti non performanti e a rischio speciale, secondo gli ultimi dati del governo, con un aumento del 29% dalla fine del 2019, cioè da prima della pandemie.

Per esempio, China Bohai Bank ha annunciato la vendita di attività non performanti per un valore di 4 miliardi di dollari. Mentre la Bohai Bank, con sede nella metropoli settentrionale di Tianjin, è stata duramente colpita dalla crisi immobiliare del Paese, tanto che quasi la metà del portafoglio prestiti, pari a 932 miliardi di yuan (129 miliardi di dollari), era concentrato nel nord e nel nord-est della Cina, dove il profitto prima delle imposte è crollato a 1,7 miliardi di yuan, rispetto ai 5,5 miliardi di yuan del 2021.

Una curiosità, che poi non è tanto tale. Il rublo, non è un mistero, sta collassando contro il dollaro e il tasso di cambio si è già portato ai livelli minimi dal marzo 2022, subito dopo lo scoppio della guerra con l’Ucraina. Sono arrivati a servire fino a 120 rubli per un dollaro poche ore fa, anche se ufficialmente adesso lo scambio avviene a circa 110,70. In ogni caso, siamo lontanissimi dai livelli di agosto, quando bastavano 84 rubli per comprare un dollaro. E ancora due settimane fa ne occorrevano 96. Il bilancio è disastroso: -25% in poco più di tre mesi e -13% dall’11 novembre scorso. Ma stanotte qualcuno ha comprato una grossa quantità di moneta russa, dando un po’ di fiato. Una manina cinese?


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