Skip to main content

Convergenze parallele e due forni, l’impronta della Dc sulla Commissione Ue. Il commento di Cangini

Alla “politica dei due forni” di andreottiana memoria è opportuno rifarsi per giudicare l’atteggiamento di Meloni e di Fratelli d’Italia. Il partito di Meloni non votò la fiducia a von der Leyen, contestando lo sbilanciamento a sinistra della maggioranza comprensiva anche dei Verdi. Lo fece per scongiurare l’accusa di “tradimento” da parte della Lega a Roma e di una quota consistente del gruppo dei Conservatori, oltre che dell’intero gruppo dei Patrioti, a Bruxelles. Ma ora che Fitto ha ottenuto il ruolo agognato, ecco che tutto cambia…

Avendo Raffaele Fitto correttamente esibito le proprie radici scudocrociate durante l’audizione al Parlamento europeo, è opportuno rifarsi al lessico democristiano per inquadrare i fatti di una vicenda ormai definitivamente conclusa. E conclusa bene.

La notizia è nota. Raffaele Fitto è stato confermato vicepresidente esecutivo della Commissione europea e ha mantenuto inalterate le deleghe ipotizzate per lui dalla presidente Ursula von der Leyen: Coesione e Riforme. Per i socialisti europei e per i liberali di Renew è stato uno shock. Nell’allegato alla lettera di valutazione di Fitto, gli europarlamentari dei due partiti hanno preteso fosse scritto nero su bianco che “non approvano” la decisione di attribuire un ruolo istituzionale (la vicepresidenza esecutiva della Commissione) ad un politico espresso da un partito (Fratelli d’Italia) che lo scorso giugno non votò la fiducia ad Ursula von der Leyen e che, dunque, non è formalmente parte della maggioranza. Inutile dire che tale postilla non ha alcun valore politico concreto, salvo denunciare un forte, fortissimo disagio.

Disagio non meno forte si è registrato ieri nel gruppo dei socialisti europei, con il Pd, evidentemente condizionato dalla moral suasion del Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, che ha votato sì a Fitto assieme a spagnoli e rumeni, mentre gli europarlamentari tedeschi, francesi, belgi e quelli repubbliche baltiche hanno votato no. Ma, ovviamente, il prossimo 27 novembre voteranno a favore della nuova Commissione europea, Fitto compreso, in occasione dell’assemblea plenaria dell’Europarlamento a Strasburgo. Detta con linguaggio moroteo, un caso evidente di “convergenze parallele”.

Alla “politica dei due forni” di andreottiana memoria è invece opportuno rifarsi per giudicare l’atteggiamento di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia. Come già detto, il partito di Meloni non votò la fiducia ad Ursula von der Leyen, contestando lo sbilanciamento a sinistra della maggioranza comprensiva anche dei Verdi. Lo fece, essenzialmente, per una ragione: scongiurare l’accusa di “tradimento” da parte della Lega a Roma e di una quota consistente del gruppo dei Conservatori, oltre che dell’intero gruppo dei Patrioti, a Bruxelles. Ma ora che Raffaele Fitto ha ottenuto il ruolo agognato, ecco che tutto cambia: il 27 novembre si dà, infatti, per scontato che i meloniani voteranno a favore della Commissione von der Leyen.

Democristianitudini a parte, il fatto che un pur sofferto accordo si sia chiuso, e si sia chiuso nei termini descritti, è una buona notizia. Strette come sono tra l’America trumpiana e la Russia putiniana, le istituzioni europee non potevano certo permettersi una crisi politica e l’informale allargamento ad una parte del gruppo dei conservatori di Ecr della maggioranza che sostiene la nuova Commissione europea, se ben gestito politicamente, rappresenterà un elemento di forza. Non di debolezza.


×

Iscriviti alla newsletter