La relazione tra conflitti armati e Amr è emersa a cavallo del ventunesimo secolo, con le prime evidenze significative raccolte durante l’occupazione statunitense in Iraq. Ma non si tratta di un problema isolato. Gli scenari bellici contribuiscono a un già drammatico quadro globale in peggioramento
Se la Seconda guerra mondiale ha portato al mondo la penicillina, salvando milioni di vite e rivoluzionando la medicina moderna, i conflitti attuali stanno favorendo l’avanzata dell’antimicrobico-resistenza (Amr). La scoperta che un tempo rappresentò il culmine del progresso medico-scientifico rischia di perdere la sua efficacia anche a causa dei conflitti armati. Dall’Ucraina al Medio Oriente, i sistemi sanitari devastati e le condizioni igieniche precarie trasformano le zone di guerra in pericolosi laboratori biologici, dove le infezioni si diffondono senza controllo e diventano sempre più difficili da curare.
AMR E CONFLITTI ARMATI
La relazione tra conflitti armati e Amr è emersa a cavallo del ventunesimo secolo, con le prime evidenze significative raccolte durante l’occupazione statunitense in Iraq. In quel contesto, si è osservata una diffusione preoccupante di batteri multi-resistenti nelle strutture sanitarie di emergenza utilizzate per curare militari e civili feriti. La combinazione di un uso massiccio di antibiotici in assenza di un sistema di stewardship antibiotica e le condizioni igienico-sanitarie precarie hanno trasformato gli ospedali da campo in incubatori di infezioni resistenti.
DALL’IRAQ…
L’esperienza irachena ha segnato un punto di svolta, evidenziando come gli scenari bellici non solo compromettano i sistemi sanitari locali, ma contribuiscano anche alla diffusione transfrontaliera della resistenza antimicrobica. Anche le operazioni militari in Ucraina e nella striscia di Gaza stanno ancora una volta dimostrando un legame ai più sconosciuto, evidenziando l’urgente necessità di affrontare la resistenza antimicrobica come conseguenza nascosta dei conflitti armati.
…ALL’UCRAINA
Già tra il 2014 e il 2020, gli ospedali militari in Ucraina hanno registrato tassi di resistenza antimicrobica superiori rispetto a quelli delle strutture civili. Un’indagine pubblicata su the Lancet, condotta su 141 pazienti sottoposti a interventi chirurgici d’urgenza per lesioni da guerra – tra cui ustioni, fratture e ferite da schegge – ha evidenziato che oltre la metà dei campioni analizzati presentava resistenza ad almeno un antibiotico. Ancora più allarmante, il 6% dei batteri isolati, tutti appartenenti alla specie Klebsiella pneumoniae (un noto agente di polmoniti nosocomiali), si è dimostrato completamente resistente a tutti gli antimicrobici testati.
LO SCENARIO ATTUALE
L’impatto dell’Amr è globale. Si attesta a cinque milioni il numero di decessi annui attribuibili al fenomeno. Sul lungo periodo lo scenario rischia di essere sempre più drammatico. Nel 2050, infatti, la resistenza agli antibiotici potrebbe diventare la prima causa di morte a livello mondiale. Ma “l’Amr non è un rischio teorico per il futuro. È qui e ora”, ha sottolineato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, alla Conferenza globale sull’antimicrobico-resistenza tenutasi a Jeddah a metà mese.
NECESSARIO AGIRE
L’emergenza di organismi resistenti agli antibiotici è una crisi che trascende i confini. I microrganismi non firmano tregue. Anzi, la loro persistenza nei setting clinici ben oltre l’arco temporale dei conflitti è stata ampiamente dimostrata. Per sviluppare le armi necessarie ad affrontare questa “pandemia cronica mondiale” – così l’ha definita Guido Rasi, consigliere del ministro della Salute Orazio Schillaci – è necessaria un’azione coordinata a livello globale, integrando la stewardship con la ricerca e lo sviluppo di nuovi medicinali. Il rischio è quello di ritrovarsi in una nuova era pre-penicillina.