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Mosca arruola i carri armati dei film per combattere in Ucraina

Il più grande studio cinematografico russo ha donato diversi esemplari di vecchi mezzi corazzati al ministero della Difesa per sostenere lo sforzo bellico in Ucraina. Ilarità a parte, questo segnala ancora una volta le difficoltà di Mosca nel reperire equipaggiamenti avanzati per le sue Forze armate e il fallimento di quel tentativo di riforma dell’esercito che non ha mai veramente attecchito

Che l’industria bellica russa non fosse esattamente la più capacitiva al mondo non era certo un mistero, ma, dopo la Corea del Nord, Mosca sembra aver trovato un nuovo, inaspettato, fornitore di armamenti: il cinema. Pare che lo studio cinematografico Mosfilm, il cui centenario ricorre quest’anno, abbia donato alcuni dei veicoli da combattimento usati per realizzare le sue pellicole alle Forze armate russe. Il commento di Karen Shakhnazarov, direttore generale di Mosfilm, è chiaro, ai limiti del pleonastico: “Sapevo che ne avevano bisogno, così mi sono messo in contatto con il ministero della Difesa e hanno preso questi veicoli”. I veicoli in questione, tutti appartenenti all’era sovietica, comprendono carri T-55, PT-76, furgoni e trasporti di fanteria. 

La Russia si è ridotta a combattere con le anticaglie?

Benché la donazione, numericamente assai modesta, abbia probabilmente un valore prettamente simbolico, ciò non esclude che Mosca possa trovare delle destinazioni d’uso a questi mezzi. D’altronde, mezzi come il T-55 e il PT-76, risalenti agli anni 40/50, sono già stati impiegati nella guerra d’Ucraina come elementi di supporto alle forze di terra. Incapaci di sostenere un qualsiasi scontro con i carri ucraini o con un reparto di fanteria debitamente equipaggiato, le armi di questi mezzi possono comunque contribuire ad incrementare il fuoco di soppressione dalla distanza. La Russia dispone invero di diversi stock di carri armati risalenti alla prima fase della Guerra fredda, quando la prospettiva di un’invasione terrestre dell’Europa occidentale spinse Mosca a una produzione sfrenata per compensare nei numeri quello che difettava nella qualità, soprattutto comparando gli equipaggiamenti dell’Armata Rossa a quelli della Nato. Sin dal 2022, il Cremlino ha attinto a queste scorte per ingrossare le proprie fila e per concentrare quanta più massa possibile sulla linea del fronte. In alcuni casi, questi mezzi sono stati imbottiti di esplosivo e utilizzati come bombe radiocomandate per creare falle negli schieramenti ucraini, in un modo che ricorda da lontano i celebri brulotti che Sir Francis Drake lanciò contro l’Invincibile Armada nel 1588. Ma, a differenza di come andò a Drake, i risultati di queste mosse sono stati minimi. I moderni sistemi di difesa ucraini, per gentile concessione dell’industria bellica occidentale, hanno pressoché invalidato ogni vantaggio che l’impiego di mezzi così arretrati potesse fornire alle truppe russe. Ciò non toglie che la Russia continui ad avanzare, seppur lentamente, in territorio ucraino. La ragione di questa avanzata, al di là delle considerazioni militari più tecniche, dipende da un unico dato: i numeri. La Russia, a differenza dell’Ucraina, ha una enorme disponibilità di riserve che, seppur male addestrare e integrate persino da soldati nordcoreani, permettono a Mosca di coprire l’intera linea del fronte e di concentrare le unità migliori nei punti caldi come gli oblast di Donetsk e Kursk. Come dicono negli Usa: “Mass does matter”.

L’Orso perde il pelo ma non la dottrina

A oggi, la Russia ha perso 3,558 carri armati, 1,744 veicoli corazzati e 4,986 mezzi di trasporto di fanteria. E questi sono solo i numeri verificati da prove fotografiche e geolocalizzazioni. Benché sia vero che la Russia è in grado, anche in virtù dell’eredità lasciatale dall’Urss, di sostenere simili perdite, ciò non significa che questo non abbia delle conseguenze sul campo di battaglia. I numeri permettono infatti alle Forze armate di Mosca di reggere alle puntate in avanti ucraine, di riempire i buchi e di sfruttare l’attrito per realizzare lente avanzate, seppure a un costo enorme in termini di vite umane. Tuttavia non è così che si raggiunge una vittoria schiacciante come quella prefigurata da Vladimir Putin quasi tre anni fa, quando i russi procedevano nella sicurezza di arrivare a Kyiv nell’arco di un pugno di settimane al massimo. Sul piano militare, la differenza è importante. Storicamente, sin dalle Guerre napoleoniche, la Russia ha puntato sui numeri piuttosto che sulla qualità delle truppe per prevalere in guerra. Furono i numeri a permettere alle armate zariste di reggere il confronto con le assai più preparate truppe tedesche nel 1914-17, scenario che si ripetè poi anche nel 1941. A costo di perdite immani, nell’ordine delle decine di milioni di morti, la Russia riuscì a vincere nel 45 grazie alla incomparabile superiorità numerica nei confronti dell’avversario. Tuttavia, nel XXI secolo, un approccio così disinteressato delle vite dei soldati non è il massimo per l’opinione pubblica, anche per quella russa. Dal 2012-2013 la Russia aveva dato il via a un grande processo di ristrutturazione delle Forze armate e della propria dottrina bellica, decidendo di puntare su equipaggiamenti migliori e su un esercito basato su reparti più piccoli e agili rispetto alle ciclopiche divisioni dell’era sovietica. L’Ucraina sarebbe dovuta essere il terreno su cui sperimentare questa transizione. I primi giorni dell’invasione furono infatti caratterizzati dall’impiego dei Battalion tactical group (Btg), reparti composti da 600-800 unità ciascuno, pensati per agire rapidamente e affondare in profondità nel territorio nemico. Tuttavia senza cambiare la dottrina di comando, che nel caso russo preclude la libera iniziativa ai comandanti sul campo e li obbliga ad attendere istruzioni dall’alto, i Btg non sono stati in grado di tenere testa alla rapidità dei reparti ucraini, che hanno invece adottato il principio della delega del comando, propria della dottrina Nato. Davanti a questa incapacità di gestire adeguatamente il nuovo approccio, Mosca si è risolta a tornare al vecchio metodo del “ne mandiamo avanti mille e, se non basta, ne mandiamo altri mille”. Insomma, la Russia ha iniziato una guerra del XXI secolo e ora si ritrova a combatterla con metodi (e mezzi) del secolo precedente. 



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