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35 anni dopo il crollo del Muro, il prezzo delle illusioni. La riflessione di Sessa

Di Riccardo Sessa

Nel ricordare oggi la caduta del Muro di Berlino riviviamo l’entusiasmo di quell’avvenimento, ma non possiamo dimenticare che le grandi speranze accese nel 1989 e poi con la riunificazione della Germania mostrarono presto le loro fragilità. Sono trascorsi pochi decenni, ma se siamo arrivati a far scoppiare nel cuore dell’Europa una guerra, prima o poi dovremo avere l’onestà di riconoscere che ci sono stati errori di valutazione della situazione di cui stiamo pagando il prezzo. L’analisi di Riccardo Sessa, ambasciatore e presidente della Sioi

Io l’ho visto da ragazzo il Muro, nel 1964, pochi anni dopo che era stato costruito, e quelle immagini non le ho mai più rimosse. Per gli occidentali il percorso con meno difficoltà burocratiche per raggiungere Berlino ovest era un volo da Parigi che atterrava in mezzo alla città all’aeroporto di Tempelhof. La guerra era terminata 19 anni prima, ma sembravano molti meno girando per la città e vedendo le ancora tante macerie. Per le strade regnava il silenzio man mano che ci si avvicinava al Muro, un silenzio di rispetto per quanto quell’assurda costruzione aveva provocato dividendo non solo una città già divisa in quattro, due popoli e intere famiglie, ma due mondi.

La Kurfurstendamm aveva ripreso una certa vita, ma i resti della chiesa dedicata al Kaiser Wilhelm distrutta nel 1943 e le altre distruzioni riportavano a una realtà dignitosamente tragica. Le abitazioni lungo il Muro avevano nella parte orientale della città tutte le finestre murate e dei palchi in legno dalla parte occidentale consentivano alle famiglie di salutare a distanza i propri cari che si nascondevano ai “Vopos”. Berlino a Yalta era stata già “punita” con una divisione in quattro “settori” controllati da Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione sovietica, con check-point militari tra una zona e l’altra.

Berlino ovest in quegli anni era la rappresentazione tragicamente plastica delle nuove realtà geopolitiche, il simbolo di quello che noi oggi chiameremmo l’ordine globale. Ricordiamo che quella alleanza innaturale tra le democrazie occidentali e la Mosca di Stalin che portò alla vittoria contro il Terzo Reich rivelò rapidamente i propri limiti politici e sfociò in una situazione di crescente conflittualità con la cortina di ferro e poi la Guerra fredda. Un periodo con il quale hanno convissuto non soltanto due alleanze con due visioni del mondo, ma milioni di uomini e donne che aspiravano a vivere in pace e che invece furono costretti, da una parte e dall’altra, a (ri)vivere nell’incubo della paura.

È in quel clima che alcune generazioni di uomini di Stato e diplomatici di vari Paesi svilupparono iniziative politiche e diplomatiche che hanno sottratto idealmente a quella muraglia sin dal 1961 mattone dopo mattone fino a quel 9 novembre del 1989. Merita di essere ricordato che la notizia della concessione “da subito” dalle autorità di Berlino est di permessi per andare dall’altra parte del Muro venne data quel pomeriggio in esclusiva mondiale da Riccardo Ehrman, corrispondente della nostra Ansa.

Giambattista Vico ci ha insegnato che nella Storia ci sono i corsi e i ricorsi. La storia del Muro di Berlino purtroppo ce lo conferma. Ripercorriamo le varie fasi che hanno caratterizzato questi quasi 80 anni, dal 1945 ad oggi, in occidente e in Europa. Nella prima, dal 1945 al 1948, si registra una collaborazione forzata tra due visioni del mondo che tuttavia presto iniziano a diffidare tra di loro. La seconda, a partire dal 1948, porta alla rottura, non solo sul piano internazionale, ma anche su quello interno, di quella collaborazione e sfocia nel 1961 nella costruzione del Muro di Berlino. Nella terza, iniziata nel 1989 e culminata a dicembre del 1991 con lo scioglimento dell’Unione sovietica e del Patto di Varsavia, le diplomazie occidentali furono attivamente impegnate nel cercare di edificare percorsi di dialogo, anche con misure per costruire la fiducia – così le chiamavamo – che portassero alla caduta delle barriere che minacciavano la pace.

In quegli anni nasce la Conferenza sulla cooperazione e la sicurezza in Europa, si riprende il dialogo, si parla di pace, i militari ex-nemici parlano tra di loro fino ad arrivare nel 2002 al Consiglio Nato-Russia e agli accordi e alle strette di mano di Pratica di Mare. Tutto questo succedeva 22 anni fa, che oggi sembrano lontani anni luce se pensiamo a dove siamo arrivati, anzi, a che punto siamo tornati indietro, perché questo è quanto successo il 24 febbraio del 2022 con l’aggressione russa all’Ucraina.

Nel ricordare oggi la caduta del Muro di Berlino riviviamo certamente l’entusiasmo di quell’avvenimento, ma non possiamo dimenticare che le grandi speranze accese nel 1989 e poi con la riunificazione della Germania nel 1990 mostrarono presto le loro fragilità. Sono trascorsi pochi decenni per poterne parlare con il necessario distacco, ma se siamo arrivati a far scoppiare nel cuore dell’Europa una guerra, prima o poi dovremo avere l’onestà di riconoscere che ci sono stati a dir poco degli errori di valutazione della situazione di cui stiamo pagando il prezzo.

E allora dobbiamo renderci conto di una cosa: in Europa, in occidente, nel mondo, con i tanti conflitti in corso, con le difficoltà che le varie governance hanno nel gestire le crisi, scopriamo che sono stati costruiti tanti “muri”. E qui sorge subito la domanda angosciosa: il nuovo ordine globale di cui tutti parliamo sostenendo che è il risultato dei cambiamenti intervenuti nel mondo è veramente nuovo, oppure, alla fine, è sempre quello instaurato a Berlino a partire dal 1961? È un ordine o, piuttosto, un (dis)ordine globale? È tutto come prima? I famosi corsi e ricorsi?

Con l’intelligenza artificiale possiamo immaginare come risponderebbe Giambattista Vico. Noi, con la nostra, vedendo di nuovo non uno, ma tanti “muri”, ci auguriamo che in questa fase di ricorsi prevalgano quelli per la loro caduta, con la speranza, visione di lungo termine, saggezza e determinazione come nel secolo scorso.

Formiche 208



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