Il Financial Times cita fonti europee per spiegare il piano di Bruxelles. Un terzo del bilancio dell’Unione, quasi 400 miliardi, sarà tolto al Fondo di coesione e destinato alle spese per la Difesa. La decisione arriva a poca distanza dall’elezione di Donald Trump e punta a innalzare le capacità di difesa del Vecchio continente, ma ritardi, burocrazia e scontri politici sono dietro l’angolo
L’Unione europea potrebbe realizzare il più grande investimento di sempre sulla Difesa, pari a quasi 400 miliardi di euro. Secondo un articolo del Financial Times, Brussels starebbe valutando di reindirizzare una parte consistente del bilancio comune, circa 392 miliardi di euro, verso il settore della Difesa. I fondi, pari a circa un terzo del Bilancio dell’Ue 2021-2027 (1,211 miliardi di euro), verrebbero in larga parte ricavati dal Fondo di coesione, lo strumento volto a ridurre le disuguaglianze economiche e a promuovere lo sviluppo tra le varie regioni europee.
Le ragioni della mossa
L’elezione di Donald Trump a 47simo presidente degli Stati Uniti ha rappresentato (per la seconda volta) una doccia fredda per l’Europa. Dopo quattro anni di amministrazione democratica, tradizionalmente più morbida di quelle repubblicane, è probabile che il nuovo presidente torni a esigere un maggiore sforzo, in termini materiali ed economici, agli Stati europei sul fronte della Difesa. Se gli europei non inizieranno a spendere considerevolmente di più sulla Difesa, Trump minaccia di ridimensionare il supporto all’Ucraina e non esclude anche altre forme di ritorsione. A poco sono serviti i timidi rialzi al budget che i singoli Stati (con alcune eccezioni degne di nota come la Polonia) hanno previsto dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022. Dopo decenni di sottofinanziamento del settore — e avvertimenti circa la miopia di tale atteggiamento —, l’Europa si trova a dover correre rapidamente ai ripari per ricostruire la propria industria e la propria credibilità militare.
Le destinazioni di spesa
Le regole che stabiliscono il funzionamento del Fondo di coesione impediscono di utilizzare questi soldi per le acquisizioni di equipaggiamento o per finanziare direttamente le Forze armate, pertanto il grosso di questo riorientamento riguarderebbe tutte le voci che possono rientrare sotto il capitolo del “dual-use”, vale a dire quegli investimenti che possono avere una funzione sia civile sia militare. Tuttavia, da qui a capire esattamente in che modo verranno allocati i fondi, ce n’è di strada davanti. Dual-use sono ad esempio le infrastrutture di collegamento e trasporto, utili a stimolare commercio e produzione ma anche cruciali sul piano della mobilità militare per spostare uomini e mezzi. Anche i droni rientrano negli investimenti considerati dual-use e questa potrebbe essere l’occasione per avviare una produzione di droni continentale, filiera su cui l’Europa si trova spaventosamente indietro rispetto ai principali competitor. Similmente, supportare l’industria della Difesa nel potenziare le proprie capacità produttive, con conseguente aumento dei posti di lavoro, può rientrare nelle categorie di spesa legate allo sviluppo regionale. Tuttavia, resta il fatto che per crescere queste aziende necessitano di commesse, le quali per loro stessa natura non potranno che riguardare mezzi e munizioni. Viene quindi da chiedersi, in che modo si potranno supportare concretamente le aziende della Difesa senza poterne acquistare i prodotti? Una possibilità sarebbe destinare i fondi di coesione al potenziamento dell’industria tramite altre forme di incentivi, per poi procedere successivamente, con fondi nazionali, all’acquisto di mezzi e munizioni. A sua volta però questo scenario cozza con la discussione attualmente in corso nelle istituzioni europee, che vede al momento come bocciata la possibilità di scorporare le spese militari dal nuovo patto di stabilità dai limiti di indebitamento e che comporterebbe per diversi Paesi (tra cui l’Italia) una disponibilità di soldi irrisoria. Insomma la questione, in sé relativamente semplice (distogliere dei fondi da qualcosa verso qualcos’altro), è resa molto più intricata dalla complessa burocrazia europea. Molto più facile sarebbe istituire direttamente un Fondo dedicato o traslare i fondi dallo strumento di coesione allo European defence fund (Edf), ma la stessa natura dei trattati e dei processi di decision-making europei rischia di far durare il processo diversi anni. Di conseguenza, come è già accaduto più volte, bisognerà fare un lavoro certosino sui cavilli burocratici per muoversi in rapidità e guadagnare tempo. Tempo che si riduce di più ogni giorno che ci avvicina al 20 gennaio, quando Trump assumerà ufficialmente l’incarico.
Per l’Europa è giunto il momento di scegliere
Le politiche di coesione per il periodo 2021-2027, sulla base delle quali si allocano i fondi del Bilancio comune, sono articolate su cinque ambiti di priorità: digitalizzazione e innovazione, connettività e trasporti, sviluppo territoriale, spesa sociale e transizione energetica. Il progetto di spesa in questione distrarrebbe fondi da queste priorità per riorientarli sulla Difesa e la sicurezza e pregiudicherebbe il raggiungimento degli obiettivi prefissati. L’equazione non è complessa: maggiore sicurezza in cambio di un rallentamento sulle politiche sociali e climatiche. Complessa è la discussione politica che sicuramente si svilupperà sulla proposta. Al di là delle recriminazioni espresse da Donald Trump, è vero che per decenni l’Europa si è potuta permettere di ignorare gli oneri che derivano dal provvedere autonomamente alla propria difesa, riparandosi sotto l’ombrello militare statunitense e concentrando i soldi su temi come il sostegno all’occupazione, la transizione ecologica e il contenimento del debito. Sebbene tali temi siano effettivamente cruciali per il futuro dell’Europa e del mondo, l’errore fatale è stato quello di considerare la Difesa demodé, come se il solo ripudio dell’idea di un conflitto potesse bastare ad allontanarne l’eventualità. I mutamenti geopolitici incombono sull’Europa e, dopo anni di tentennamenti, il tempo per valutare è finito ed è giunto quello di scegliere. Finora i tentennamenti hanno trovato sponda nella “morbidezza” delle amministrazioni democratiche, ma è assai probabile che, con un Trump redivivo e al secondo mandato — libero quindi di agire senza i freni di una prospettiva di rielezione — questo lusso sia giunto al termine. O si spende sulla Difesa o non si potrà più contare sul pieno sostegno degli Usa, con due guerre in corso alle porte dell’Europa. Se il tema della Difesa non fosse stato relegato in fondo ai capitoli di spesa per così tanto tempo, forse oggi ci sarebbe meno terreno da recuperare e la scelta non si ridurrebbe a una mutua esclusione tra i valori profondi degli europei e l’imprescindibilità della difesa come precondizione a quegli stessi valori.