Il Department of Government Efficiency (Doge) dovrà ristrutturare l’intero apparato burocratico statale rendendolo più vicino alle imprese e alle necessità dei cittadini. Nelle intenzioni, l’organismo guidato da Musk taglierà del 30% la spesa federale e agirà presumibilmente sul sistema sanitario e su quello educativo. L’intuizione rappresenta una svolta liberale per la politica del neo presidente degli Usa, ma i dazi farebbero male all’economia statunitense. Conversazione con Lorenzo Montanari, vice presidente dell’Americans for Tax Reform
Tu chiamala, se vuoi, svolta liberale. O reaganiana. Il neo eletto presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha scompaginato i piani e, sul versante di burocrazia, alleggerimento dello stato federale e agenda di riforme, ha deciso di affidarsi a Elon Musk e a Vivek Ramaswamy, ex candidato repubblicano alle presidenziali Usa e co-fondatore di Strive Asset Management. Premessa. Doge sarà un dipartimento esterno, dunque non governativo, che avrà proprio il compito di rendere più efficiente la macchina statale. “Un’iniziativa estremamente positiva, che si muove nel solco di una fra le priorità del partito repubblicano: la deregulation”. Inizia da qui Lorenzo Montanari, vice presidente dell’Americans for Tax Reform, la sua analisi affidata alle colonne di Formiche.net.
Montanari, questa Doge cosa sarà nella sostanza?
Una commissione esterna che, nelle intenzioni, dovrà ristrutturare l’intero apparato burocratico statale rendendolo più vicino alle imprese e alle necessità dei cittadini. Pur essendo un’iniziativa lodevole, non rappresenta una novità nel panorama statunitense.
Eppure Trump l’ha paragonata, come impatto, al progetto Manhattan.
Questo fa parte del lessico e della terminologia trumpiana. E comunque dimostra che il presidente crede molto in questo progetto. Posto che anche Obama aveva creato una commissione simile per affrontare il tema del debito nazionale, mi pare che Doge sia più simile alla Grace Commission voluta dal presidente Reagan.
A proposito di debito pubblico da tagliare. Di che cifre stiamo parlando?
Gli Usa hanno un debito di 36 trilioni di dollari al momento. Quando Trump terminò il suo primo mandato alla Casa Bianca, erano 27. Dunque nel corso dell’amministrazione Biden il debito è di gran lunga aumentato. Ma, soprattutto, vengono fatte delle spese che oggettivamente rappresentano inutili sprechi di risorse pubbliche.
A cosa si riferisce nello specifico?
Un esempio su tutti sono i programmi governativi. Ce ne sono almeno 1.200 non più autorizzati che tuttavia continuano a ricevere finanziamenti da parte dello Stato. Ed è per questo che, al di là della riduzione del debito in senso stretto, fra gli obiettivi di Doge c’è anche quello di ridurre in modo massiccio questi sprechi.
Realisticamente quanto potrà incidere su questi numeri da capogiro l’azione di Musk e Ramaswamy?
Nell’ultimo anno fiscale il governo federale ha speso 6,75 trilioni di dollari. Musk, stando alle informazioni che sono emerse, attraverso questo dipartimento vorrebbe apportare tagli per circa due trilioni di dollari. Ossia il 30% della spesa federale complessiva. Non si sa, chiaramente, in quali tempi anche perché siamo ancora nella fase dell’annuncio. Ma è ragionevole immaginare che sia per lo meno una sfida di mandato.
Ci sono già importanti segnali di un positivo accoglimento di questa iniziativa, non solo da parte repubblicana.
L’obiettivo di migliorare ed efficientare l’apparato burocratico statale è un intendimento che coglie diverse istanze. In primis Jennifer Pahlka, ricercatrice senior presso il Niskanen Center ed ex vicedirettore tecnico del presidente Barack Obama, ha lodato l’obiettivo del progetto Doge. D’altra parte Dan Lips, Samuel Hammond e Thomas Hochman della Foundation for American Innovation hanno hanno recentemente pubblicato un report “An Efficiency Agenda for the Executive Branch” nel quale hanno avanzato la proposta di impiegare l’Intelligenza Artificiale per ridurre gli sprechi del governo federale.
Insomma, possiamo parlare di svolta liberale di Trump?
Certo, lo è. Continua in qualche misura alcune fra le politiche immaginate e volute dal presidente Reagan. Tuttavia, c’è un punto di divergenza: la proposta di introduzione dei dazi. Una politica che, personalmente, non condivido e che già nel primo mandato aveva portato avanti. Basta pensare all’acciaio e all’alluminio. Va detto peraltro che Biden quei dazi non li ha mai tolti. Tuttavia, le politiche protezionistiche non appartengono alla tradizione liberale.
L’economia statunitense ne trarrebbe giovamento?
Al contrario, sarebbe danneggiata. Per la verità, è difficile al momento stabilire quanta intensità avrà questa guerra commerciale. Sarebbe auspicabile che Trump stesse alzando la posta per poi negoziare e, in questo senso, non mi meraviglierei se rilanciasse l’idea del Transatlantic Trade and Investment Partnership.
Quali saranno le riforme necessarie per tentare di invertire il trend di esposizione debitoria pubblica?
Sicuramente occorrerà mettere mano al sistema sanitario e a quello educativo. Sono senz’altro due poderosi capitoli della spesa pubblica americana. Nonostante la parte privata sul versante sanitario è molto forte, l’esborso pubblico è altissimo. Il dipartimento educativo – creato da Carter nel 1979 – è un altro di quei dossier sui quali probabilmente ci sarà attenzione sul piano del ridimensionamento. E, fra le altre cose, non sarebbe strano che Trump superasse definitivamente l’idea della global minimum tax. Sarebbe senz’altro una straordinaria leva di competitività e di attrattività per nuovi potenziali investitori.
Al di là del ruolo fondamentale che ha avuto per il suo successo in queste presidenziali, perché scegliere di mettere a capo di un dipartimento come Doge, Elon Musk?
Trump ha scelto il miglior imprenditore al mondo, il più innovatore. Il “fattore Musk” ha in qualche misura ridisegnato tutti i parametri – anche politici – della campagna elettorale di queste presidenziali. Musk non ha precedenti. Dunque in questa ottica, il neo presidente ha immaginato che possa avere anche la capacità di ridisegnare la struttura statale in modo più efficiente. È giunto il tempo che la burocrazia ceda il passo alla responsabilità. L’America deve andare più veloce ed essere ancora più competitiva.