La strategia illustrata dalla presidente della Commissione europea ha il vantaggio di portare in dote i semi della rottura con un passato fatto di scelte anche sbagliate. E che ora presentano il conto. Le manovre bocciate dei Paesi frugali non stupiscono. Conversazione con l’economista e direttore della Fondazione Edison
L’ultima spiaggia. Poi, sarà davvero troppo tardi. Il giorno dopo la presentazione della strategia economica della nuova Commissione europea, è lecito farsi una domanda: è questa l’ultima possibilità per l’Europa prima di condannarsi al declino, finendo nella morsa di Stati Uniti e Cina? Marco Fortis, economista e direttore della Fondazione Edison, ha pochi dubbi: la risposta è sì.
“La mappa indicata dalla nuova Commissione indica la volontà di cambiare passo. Molte economie europee hanno dato segni di malessere e fragilità e alla fine hanno imposto a Bruxelles un cambio di passo. Pensiamo alla crisi dell’auto tedesca, la cui origine è proprio nelle politiche, spesso mal calibrate, dell’esecutivo comunitario precedente. Di fronte alla crescente forza dei competitor mondiali, Cina e Stati Uniti su tutti, non si poteva continuare con quell’andazzo”, spiega Fortis.
Per il quale “il rapporto Draghi è certamente una buona base di partenza. La competitività di un mercato è quella che fa la differenza, dobbiamo ripartire dai fondamentali. Pensiamo all’aerospazio, che in Europa è più forte di quello americano. E lo stesso vale per l’industria farmaceutica. Ma al netto di queste due forze, dobbiamo investire di più sul resto, anche ricorrendo al debito comune. L’Europa dinnanzi a questo cosa fa? O meglio, cosa non fa? Dovrebbe semplicemente concentrare i suoi sforzi su quelle filiere che oggi non sono competitive con il resto nel mondo. In questo senso, la strategia indicata dalla nuova Commissione, come ho detto, ha tutte le carte in regola per segnare quel cambio di passo non solo urgente, ma necessario. Tanto vale sperarlo”.
Fortis poi stringe il fuoco, per esempio toccando il tema delle aggregazioni industriali. “Oggi è chiaro come tutto ciò che riguarda il potenziamento dei player europei vada apprezzato. Spesso abbiamo visto in passato operazioni di consolidamento che non sono decollate, oggi invece dovrebbero farlo. Negli Stati Uniti questo è più facile, in Europa no, il nostro è un capitalismo più lento, i grandi gruppi del Continente hanno oltre 100 anni. Per questo Bruxelles deve appoggiare un disegno industriale comune, che spinga le medesime aggregazioni. Anche questa deve essere una frattura per il futuro. Oppure, pensiamo al nucleare, oggi ci serve, perché ne va sia della transizione, sia del nostro approvvigionamento energetico. Una cosa è certa, entro cinque anni questi obiettivi vanno raggiunti, direi che adesso o mai più insomma”.
Non è finita. La nuova Europa, se così la si vuol chiamare, dovrà tenere conto anche di certi paradigmi ribaltati. Due giorni fa Bruxelles ha promosso le manovre dei Paesi più indebitati e bocciato quelle di molti Paesi frugali, un tempo virtuosi si sarebbe detto. “I frugali stanno portando avanti delle politiche su cui però ci sono i primi ripensamenti, a cominciare dalla Germania. In questo momento certi dogmi sono messi in discussione. Guardiamo ai piani dei Paesi periferici, inclusi l’Italia, ci sono delle traiettorie di rientro sostenibili e sensate. L’Italia, tanto per essere chiari, nei prossimi due anni produrrà 35 miliardi di avanzo primario. Non è poco.”