L’autorizzazione statunitense (rapidamente seguita da Francia e Regno Unito) per colpire il territorio russo con i missili a lungo raggio rappresenta un nuovo capitolo del confronto Mosca-Kiyv. La decisione di Joe Biden, prossimo a lasciare l’incarico, va in contrapposizione con le idee che Trump ha espresso sulla risoluzione del conflitto. Conversazione con l’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo
Con una mossa a sorpresa, il presidente uscente degli Stati Uniti Joe Biden ha autorizzato l’Ucraina a impiegare i missili a lungo raggio Atacms all’interno del territorio russo, oltrepassando un’altra delle linee rosse tracciate da Vladimir Putin. La decisione giunge a due mesi dall’inizio del secondo mandato di Donald Trump, che ha più volte affermato di non sostenere la linea del suo predecessore democratico. Formiche.net ha parlato delle implicazioni di questa decisione con l’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo, già vice segretario generale della Nato.
Ambasciatore, gli Stati Uniti hanno preso la decisione di permettere all’Ucraina l’impiego dei missili a lungo raggio Atacms anche contro bersagli situati in territorio russo. Quali potrebbero essere gli impatti che questa decisione potrebbe avere a livello geopolitico sul conflitto?
La notizia dimostra, innanzitutto, come spesso l’informazione in generale possa essere poco precisa. Ricordiamo che qualche settimana fa fu data la notizia, col senno di poi rivelatasi non vera, che l’Italia, l’Ungheria e pochi altri erano rimasti gli unici Paesi a non consentire l’uso dei sistemi d’arma anche contro il territorio russo. L’impressione generale era che la maggior parte dei Paesi Nato avessero consentito alla possibilità di individuare dei bersagli anche in Russia. Evidentemente questo non è vero, se adesso anche gli Usa modificano la loro precedente postura, e l’Italia proseguiva in una situazione quale quella comune.
E per quanto riguarda la misura in sé?
La seconda osservazione, intuitiva per così dire, è che il permesso statunitense di tirare in territorio russo durerà circa due mesi, con una data di scadenza precisa, perché il 20 gennaio alle 12:00 Joe Biden non sarà più presidente degli Stati Uniti. Quella di Biden, dunque, è una decisione che potrà essere facilmente rimossa dal suo successore, Donald Trump. Si potrebbe persino arrivare a dire che, in fondo, il prossimo ex presidente ha fatto addirittura un favore al suo successore. Cambiare la posizione di Biden, ovvero smettere di far colpire il territorio russo, potrebbe essere usato come gesto di conciliazione verso Mosca, da una posizione però di vantaggio. Più difficile è valutare l’effetto che una tale scelta avrà sul contesto militare. Un conto, infatti, sono le dichiarazioni pubbliche e le informazioni, importantissime ma dal punto di vista politico, Quello che succede sul terreno dovrà ancora essere visto. Bisognerà vedere se i mezzi in dotazione agli ucraini saranno sufficienti, e se saranno in grado in impiegarli contro la Russia. A mio parere, non credo ci sarà un impatto così forte sulla situazione reale.
E dal punto di vista politico?
Quello che si può dire sul piano politico, invece, è che c’erano fino a poco tempo fa delle regole tacite, non scritte, per cui da una parte e dall’altra non si colpivano i rispettivi territori. Dal punto di vista politico, la linea seguita finora è stata giusta e comprensibile, orientata a non provocare la Russia in una guerra generale. Ma a essere onesti e guardando al terreno, è chiaro che chi può bombardare senza essere a sua volta bombardato ha un vantaggio significativo. Fino ad oggi queste circostanze hanno dato un netto vantaggio ai russi, ma le condizioni sono cambiate, dal momento che Mosca ha varcato un limite con l’arrivo nella zona di Kursk di dodicimila militari nordcoreani, e non solo fanti col fucile, ma anche con blindati e corazzati. Una forza militare nuova, che cambia la situazione sul campo. Tra l’altro, sappiamo che le forze armate ucraine, dopo mille giorni di guerra, sono stanche. Ecco allora che la concessione a colpire la Russia ha un suo significato ben preciso, e potrebbe anche essere legata al timore di una nuova offensiva verso Kursk. Però queste sono solo supposizioni. Certamente vediamo un rapporto di forza e una pressione crescente a vantaggio dei russi. Non dobbiamo, naturalmente, tirare conclusioni affrettate, la stanchezza ucraina non vuol dire un crollo strutturale, al massimo il pericolo di un cedimento di terreno, ma dobbiamo fermarci qui. Del resto sappiamo che la Russia è più grande dell’Ucraina.
In che modo potrebbe avere effetto sul piano diplomatico e dei negoziati?
Si tratta di una misura temporanea per ragioni istituzionali, con una data precisa di scadenza. Tuttavia, resta una carta importante sul tavolo, che può essere usata come oggetto di negoziato anche favorevole, con una posizione occidentale più forte, eventualmente da ammorbidire, dietro concessioni da parte di Mosca. Può essere un fattore facilitatore verso la pace, ma dopo il 20 gennaio. Certo, nei negoziati ognuno parte dalle proprie posizioni. Sappiamo che i russi vogliono la Crimea, vogliono le ragioni occupate dell’Ucraina (ratificate dalla Duma, cosa che crea anche un problema amministrativo al Cremlino), e l’assicurazione che Kyiv non entri nella Nato. Quest’ultimo punto, tra tutti, è quello che a mio avviso potrebbe essere il meno indispensabile. Come ho sempre ricordato, ci sono altri modi per garantire la sicurezza dell’Ucraina garantendone la neutralità, a partire da un accordo internazionale. Inoltre, l’Ucraina entrerebbe nell’Unione europea, e non è una cosa di poco conto. Il tema cruciale sarà allora quello territoriale, e lì vedremo se si arriverà a un armistizio che congeli la situazione sul campo o un accordo più strutturato.
La fine, dunque, resta lontana per ora?
I negoziati partono così, è normale. Bisognerà però vedere il livello di pressione che gli Usa hanno intenzione di mettere sul piatto della bilancia. Chi può fare davvero la differenza è solo Washington. Fino ad adesso l’atteggiamento di Biden è stato di difesa dell’Ucraina limitando gli attacchi alla Russia, per paura di allargare il conflitto e, soprattutto, della possibilità che Mosca si risolvesse all’uso dell’arma nucleare. Bisogna poi essere disponibili al negoziato. Kyiv fino a poco tempo fa non ne avrebbe accettato uno. Dopo tre anni di guerra forse sono più pronti.