La riunione dei ministri della Difesa dei 27 ha approvato due documenti, pressoché identici, che riportano le stesse conclusioni: l’Europa deve fare meglio e di più sulla Difesa. A poco sembrano servire gli appelli di istituzioni e think tank come Carnagie Europe che avverte: “Chi non riesce a sedere al tavolo delle decisioni, potrebbe presto finire sul menù”
La difesa europea rimane all’ordine del giorno per le istituzioni comunitarie, forse un pò meno per le cancellerie del Vecchio continente. Il Consiglio Ue in formato Difesa ha approvato la Coordinated annual defence review (Card) 2024, uno strumento nato nel 2017 per tenere traccia dei passi in avanti compiuti nell’ambito delle politiche di cooperazione in materia di Difesa dei ventisette. La giornata ha visto anche l’approvazione da parte del Consiglio della Strategic review sulla Pesco (Permanent structured cooperation), lo strumento di cooperazione strutturata europea in materia di sicurezza e difesa. Entrambi i documenti riconoscono la necessità di migliorare a livello industriale, acquistare insieme ed europeo e ridurre la dipendenza del Vecchio continente dall’esterno.
Presente anche il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ha affrontato il tema delle spese militari congiunte e della loro centralità per raggiungere questi obiettivi: “Quando una nazione da sola non è in grado di garantire una spesa adeguata, viste le dimensioni degli altri attori internazionali, deve farlo in modo collettivo”. Sull’accelerazione nella spesa militare italiana, Crosetto ha ribadito la necessità di rimuovere i vincoli all’indebitamento per le spese militari per raggiungere l’obiettivo del 2%. Non solo, il livello della competitività e delle sfide oggi richiederebbe investimenti anche maggiori. Come ricorda il ministro: “Il 2% non basterà. Alcuni Paesi oggi spendono il 4,5%, alcuni il 3%. Per adesso come obiettivo basta il 2%, vedremo poi nei prossimi anni se arrivare al 2,5-3% come alcuni propongono”.
Il punto sulla Card
Per quanto riguarda la Card, documento stilato dall’Agenzia europea per la Difesa (Eda), con il Servizio per l’azione esterna (Eeas) e l’Eu military staff (Eums), quello di quest’anno registra l’aumento delle spese militari complessive rispetto al passato, ma segnala anche lo stato insufficiente di coordinamento, stock di munizioni e investimenti. Entro la fine del 2024, la spesa militare degli Stati Ue raggiungerà i 326 miliardi di euro, di cui cento in investimenti. In rapporto al Pil continentale, questo significa un investimento pari al 1,9%, in aumento del 30% dal 2021. Non molto, considerando che si parla di ben ventisette strumenti militari nazionali in un arco temporale di quasi quattro anni.
Secondo il rapporto e a dispetto degli incrementi, i soli sforzi nazionali non sono sufficienti a garantire la preparazione delle Forze armate europee a scenari ad alta intensità. Gli europei non sono ancora in grado di provvedere da soli a colmare i gap operativi di breve e medio termine, soprattutto riguardo equipaggiamenti base come munizioni d’artiglieria e veicoli per il trasporto delle truppe, oltre alle capacità di difesa aerea multilivello, giudicate insufficienti per garantire un perimetro di sicurezza. L’Eda registra quattro aree su cui concentrare gli sforzi di collaborazione e su cui alcuni Stati hanno già avviato delle iniziative congiunte. Queste sono la guerra elettronica, munizioni circuitanti, sviluppo di uno European combat vessel e la difesa aerea e missilistica integrata. Voci definite “collaboration opportunities”, anche se il documento traccia il profilo dell’esigenza. A tal proposito, Jiří Šedivý, chief executive dell’Eda, ha affermato: “Per diventare un fornitore credibile di sicurezza, l’Ue deve sviluppare capacità strategiche, anche per scenari di guerra ad alta intensità. Le opportunità di collaborazione riuniranno i responsabili politici nazionali, i pianificatori e gli esperti di armamenti per sviluppare i relativi mezzi militari. Queste sono in linea con le priorità della Nato. L’Eda è pronta a trasformare queste opportunità di collaborazione in realtà”.
Le novità della Pesco
Dall’altro lato, c’è stata la review della Pesco, che accoglie diversi programmi di sviluppo congiunto di capacità (circa venti). Oltre a registrare i progressi compiuti, il testo invita a un rafforzamento dei legami della stessa con le altre iniziative europee. In particolare, ci si sofferma sulle necessità relative a potenziare il ruolo del Segretariato e a rilanciare la European defence technological and industrial base (Edtib). Fondamentalmente, le stesse cose evidenziate anche dalla Card.
Un Security council europeo?
Nel frattempo, mentre l’Unione europea rimane alle prese con le confirmation hearing dei commissari proposti da Ursula von der Leyen per il suo secondo mandato, il Carnagie endowement for international peace ha rilasciato un contributo che affronta i medesimi temi discussi dal Consiglio. Secondo il think tank c’è poco da gioire dei cosiddetti “progressi” raggiunti dagli Stati europei sul fronte della Difesa, sottolineando che “È difficile evitare l’impressione che l’Ue non abbia ancora compreso appieno l’urgenza e la gravità della sfida di Trump”. Torna quindi allo studio la proposta che il presidente francese, Emmanuel Macron, fece alcuni anni fa: la creazione di un Consiglio di sicurezza dell’Unione europea. Un pò sulla falsariga dell’omologo ente onusiano, il nuovo Consiglio potrebbe includere i Paesi più popolosi (Germania, Francia, Italia, Spagna e Polonia) come membri permanenti e prevedere cinque seggi addizionali a rotazione biennale per garantire un’adeguata rappresentanza geografica. Il nuovo organo avrebbe il potere di rappresentare le istanze politiche della Politica estera e di sicurezza comune, ad oggi concretamente inesistenti a causa della regola dell’unanimità in seno al Consiglio europeo. Un simile passo, come avverte Carnagie, non sarebbe la panacea di tutti i mali d’Europa e non dovrebbe essere inteso come tale. Tuttavia, l’istituzione di un simile organo potrebbe iniziare ad abituare gli Stati europei a processi come la decisione a maggioranza, vero punto d’inciampo delle attuali politiche comunitarie. Ancora una volta i passi di Unione e Stati membri risultano troppo lenti, quasi atrofizzati, e non sufficienti ad affrontare le reali sfide del presente. A poco servono le innumerevoli iniziative dai lunghi acronimi, se nella sostanza nulla cambia. Il punto rimane che “senza sforzi significativi per rafforzare le istituzioni e i processi della politica estera e di sicurezza dell’Ue, le deboli strutture attualmente esistenti non resisteranno alle tempeste geopolitiche dei prossimi anni”.