A Roma si celebra la decima edizione dei Med Dialogues, la più importante conferenza internazionale dedicata al Mediterraneo. Un dialogo che guarda oltre i confini geografici del Mare di mezzo, intrecciandosi con l’Africa e l’Indo-Pacifico, per rafforzare il posizionamento strategico del Paese in uno scenario globale in evoluzione. La lettura dell’ambasciatore Francesco M. Talò
In un’area segnata da crisi globali, dal conflitto israelo-palestinese al Libano e alla Siria, ma anche da opportunità strategiche come l’India-Middle East-Europe Economic Corridor, i Dialogi Mediterranei di Roma rappresentano un momento per fare il punto su una delle aree geografiche e geopolitiche più cruciali per le dinamiche internazionali. Ne abbiamo parlato con l’ambasciatore Francesco Talò.
Ambasciatore, i Med Dialogues giungono al loro decimo appuntamento. Qual è il significato di questo traguardo?
La decima edizione è un numero non solo simbolico, segno di una rassegna che ormai è diventata una tradizione e, più concretamente, la più importante conferenza internazionale che si svolge regolarmente in Italia. Diamo anche qualche cifra. Sono convenuti cinquanta tra ministri e vertici di istituzioni e organi internazionali. Duemila persone sono a Roma per questo importante evento, diviso in venti sessioni e una quindicina di side event. Diecimila partecipazioni da remoto e due presenze dei vertici istituzionali italiani: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in apertura e il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in chiusura.
Al centro dei lavori, naturalmente, c’è il Mare nostrum…
Una conferenza di questo tipo nel nostro Paese non può che essere dedicata al Mediterraneo. Su questo tema, tra l’altro, la tre giorni diventa in assoluto l’appuntamento internazionale più importante dedicato a questa aera geostrategica oltre che geografica. Un’area cruciale non solo per l’Italia, ma a livello globale, se consideriamo che il Mediterraneo, come sottolineato del resto anche dal presidente Meloni, nel corso dei Raisina Dialogue del 2023 a Nuova Delhi, è davvero il mare di mezzo, come dice il nome, che infatti collega i due più grandi bacini del mondo, l’Atlantico e l’Indo-Pacifico.
Come si è caratterizzata questa edizione?
Questi dialoghi mediterranei hanno un aspetto di grande concretezza. E d’altra parte, come ha rilevato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, nel suo intervento di apertura, si svolgono in un’epoca di gravi conflitti. Il vice presidente del Consiglio ha quindi sottolineato l’importanza del ruolo dell’Italia per favorire il dialogo. Ecco, i Dialoghi Mediterranei sono questo, credere nell’importanza del confronto. Inoltre rappresentano anche l’importanza di comprendere che parlando di Mediterraneo occorra andare oltre le sue coste. In Italia si parla da tempo e spesso di Mediterraneo allargato. A me piace un altro termine, che è stato usato dal ministro degli Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, uno degli ospiti dei Med Dialogues: Indo-Mediterraneo. Io credo che oggi, oltre a parlare di gravi casi di crisi e di conflitto, ineludibilmente a partire da quello israelo-palestinese, e quindi al Libano, a tutta la regione dalla Siria allo Yemen, dobbiamo anche parlare del vasto ambiente globale rappresentato dalla più ampia regione dell’Indo-Mediterraneo, oltre che dall’Africa intera, che può offrire tante opportunità.
Quali?
Partiamo dal concetto di Indo-Mediterraneo presentato dal ministro indiano. Si è parlato molto, già in occasione dell’apertura dei Dialoghi, dell’Imec, India-Middle east–Europe economic corridor, il corridoio tra India, Medio oriente ed Europa, citato anche dal ministro Tajani e al centro di un approfondimento con Paolo Magri, amministratore delegato dell’Ispi, e Samir Saran, presidente dell’Observer Research Foundation, il più importante think tank indiano (che realizza i Raisina Dialogue). Questo momento, in cui le cose potrebbero essere bloccate dal conflitto, è invece quello giusto per pensare al futuro. Ecco la concretezza della conferenza, del fatto che si trovano insieme i rappresentanti degli istituti di ricerca, quelli dei governi con cinquanta ministri, e le grandi imprese, a partire da quelle italiane come Eni, Enel, Ferrovie dello Stato, Cassa depositi e prestiti e Sparkle, per citarne alcune.
Altro aspetto importante è quello dell’Africa…
Quello che succede nella parte nord del continente, quella sulle rive del Mediterraneo, non può non subire l’impatto di quanto accade nel resto dell’Africa. Ecco allora il focus a questi dialoghi del Piano Mattei, ricordato dal ministro Tajani e anche dal vice ministro Edmondo Cirielli, e oggetto di una discussione ad hoc nella quale Lorenzo Ortona, coordinatore vicario della struttura di missione per il Piano Mattei, ha illustrato la concretezza dell’impegno del governo per la creazione di un sistema-Italia. Di cui si parla tantissimo, verrebbe da dire in maniera quasi abusata. Con il Piano il sistema-Italia è invece realtà, portando insieme le imprese, l’amministrazione pubblica e il governo, impegnati per qualcosa che riguarda l’Africa ma non solo, allargandosi anche alla regione dell’Indo-Mediterraneo. Non dimentichiamoci che, del resto, l’Africa è un continente che affaccia tanto sul Mediterraneo, quanto sull’oceano Indiano.