Il presidente indonesiano Prabowo dimostra la capacità dell’Indonesia di adattarsi al sistema multipolare in costruzione. Viaggio in Cina, visita a Trump e Biden, poi Apec, G20 e Londra. Così Jakarta affronta il presente con pragmatismo strategico
Con il recente insediamento di Prabowo Subianto alla presidenza, l’Indonesia sta rapidamente mostrando la propria intenzione di rafforzare il ruolo di attore indipendente e multi-allineato nel sistema globale, sempre più orientato verso una struttura multipolare. Le sue prime visite internazionali, che includono tappe cruciali in Cina, Stati Uniti (invitato a Washington da Joe Biden, ma con fermata prevista anche in Florida per un faccia a faccia con il presidente eletto Donald Trump nella “Casa Bianca operativa” di Mar-a-Lago), e poi in Perù per l’Asia-Pacific Economic Cooperation, in Brasile per il G20, e infine nel Regno Unito, rappresentano un percorso diplomatico carico di significato e strategia. Ogni tappa rispecchia la volontà di Jakarta di riaffermarsi come player influente e, per quanto possibile, autonomo, capace di dialogare e costruire relazioni con potenze dalle caratteristiche molto diverse, mantenendo però un’identità sovrana e ben definita sullo scenario internazionale.
La visita in Cina ha aperto questo tour, e le dichiarazioni di Prabowo pongono le basi di questa strategia, che parte da un approccio collaborativo con Pechino — nonostante alcune distanze storiche. Durante l’incontro con Xi Jinping a Pechino, l’indonesiano ha sottolineato: “In quanto grandi Paesi in via di sviluppo e membri chiave del Sud del mondo, Cina e Indonesia dovrebbero promuovere congiuntamente i valori asiatici incentrati sulla pace, la cooperazione, l’inclusività e l’integrazione”. Questo messaggio fa da raccordo per comprendere il significato delle nuove intese firmate durante la visita, che spaziano in settori cruciali dell’economia bilaterale e dello sviluppo strategico tra i due Paesi: estrazione del litio (determinante nella corsa al dominio del mercato delle batterie), produzione di auto elettriche e promozione di energie rinnovabili (fattori prioritari nella transizione energetica), turismo (fondamentale perché rappresenta attualmente il 2% del Pil, ma pre-Covid valeva il 5,5% con ampi spazi di crescita), e infine la difesa.
Tuttavia, gli accordi economici tra Pechino e Jakarta non nascondono le complessità del rapporto, e in taluni casi sono proprio questi, soprattutto nel mondo della difesa, a dimostrarle. Fonti indonesiane si interrogano sulla prudenza nell’acquistare navi e barche dalla Cina mentre i due Paesi sono impegnati in una disputa sui diritti alle risorse in una porzione del Mar Cinese Meridionale, dove le rivendicazioni dell’Indonesia per una zona economica esclusiva si scontrano con le rivendicazioni cinesi, caratterizzate da una tendenza all’egemonia — e recentemente anche le navi della guardia costiera indonesiana hanno avuto incontri ravvicinati con le controparti cinesi.
Il Mar Cinese Meridionale rimane un’area di tensione significativa, dove le rivendicazioni indonesiane si sovrappongono alla controversa “linea a nove trattini” della Cina. Dino Patti Djalal, ex diplomatico e vice ministro degli Esteri indonesiano, spiega all’Economist di temere che l’Indonesia possa perdere la sua reputazione per aver preso una posizione indipendente da una delle due grandi potenze a meno che non stia attento a non essere vista come un proxy cinese. “Per molto tempo, l’America è stata il punto di riferimento”, dice, spiegando che l’Indonesia è stata attenta a non allinearsi troppo strettamente con lo Zio Sam. “Ora — chiosa — la Cina è il punto di riferimento. Devono ricordarlo”.
Che la Cina sia individuata come punto di riferimento “ora”, dall’ex ambasciatore negli Usa di un Paese che nel corso dei prossimi decenni è destinato a scalare la classifica del sistema G20, è un elemento di riflessione generale. Per affrontare queste criticità, Prabowo sembra aver adottato una linea di politica estera altamente pragmatica e flessibile. Un approccio che tuttavia crea preoccupazioni espresse riservatamente da osservatori diplomatici statunitensi riguardo uno spostamento verso la Cina e lontano dalla posizione per lo più non allineata assunta dal suo predecessore, Joko Widodo (o Jokowi) — anche seguendo la traiettoria di avvicinamento al blocco Brics, con la volontà di entrarne a far parte manifestata il mese scorso. Ma la vittoria di Prabowo ha qualche somiglianza con quella di Donald Trump. Sono entrambi aspiranti uomini forti anziani ma irrefrenabili, la cui retorica è autoritaria ma che hanno conquistato il potere attraverso elezioni libere ed eque, sponsorizzando le loro volontà pacifiche e dirette verso una generale prosperità — per primo nel loro Paese. E di farlo con un pragmatismo sfacciato.
Prabowo, leader di una nazione complessa, che è anche il più popoloso Paese islamico, questo pragmatismo strategico lo dimostra apertamente quando dice che “lo Xinjiang è interamente un affare interno della Cina” e che “l’Indonesia […] sostiene fermamente gli sforzi della Cina per mantenere lo sviluppo e la stabilità nello Xinjiang”, ossia nella regione in cui il Partito/Stato ha avviato una campagna di rieducazione forzata per creare “buoni cinesi” obliterando tradizioni e cultura dei musulmani locali — accusati generalmente di separatismo e derive violente jihadiste, sebbene esse siano appannaggio di singoli gruppi armati. Prabowo, che ha anche “ringraziato la Cina per aver sostenuto la giustizia e l’equità sulla questione palestinese”, non è incoerente se si considera che una parte del mondo ha iniziato a sviluppare la propria strategia in modo assolutamente non idealista. La sua è infatti la stessa posizione assunta dai grandi Paesi arabi, per primo il regno saudita che protegge i luoghi sacri dell’Islam: compartimentare la questione dei musulmani nello Xinjiang serve a poter portare avanti le relazioni con la Cina senza il peso ideologico e potendo chiedere in cambio un atteggiamento simile quando e se affari interni a quei Paesi dovessero affiorare tra le attenzioni dei sistemi multilaterali internazionali (per esempio l’Onu).
È una linea completamente opposta a quella dell’Occidente, che, con l’amministrazione Biden, ha posto diritti e valori democratici al centro della politica internazionale — che con Trump potrebbe essere rimodellata. In conclusione, il multiallineamento di Prabowo non è semplicemente un compromesso diplomatico, ma un chiaro segnale di pragmatismo strategico in un mondo multipolare con cui l’Occidente deve fare i conti. L’Indonesia, un Paese in crescita con oltre duecento milioni di abitanti, cerca di bilanciare le sue alleanze e rafforzare la propria identità autonoma, senza allinearsi rigidamente con nessuno dei poli che stanno emergendo — piuttosto cercando di essere essa stessa un medio-polo.
(Foto account X, @prabowo)