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Agli albori dell’era dell’IA. Aspettative e realtà secondo Zecchini

Mentre prosegue l’adozione dell’Intelligenza Artificiale in Italia e nel mondo, si evidenziano gli ostacoli, le opportunità e le implicazioni di questa tecnologia per imprese, mercati e Pubblica amministrazione. L’analisi di Salvatore Zecchini

Non passa giorno senza che sui media si parli con articoli, analisi e dibattiti delle conseguenze dell’applicazione di sistemi di Intelligenza Artificiale, particolarmente generativa (Iag), sottolineandone i rischi, gli effetti sull’occupazione, la produttività e gran parte delle attività umane. L’ampiezza dei campi di utilizzo ha sollecitato alcuni paesi a correre a porre limitazioni, come è avvenuto nei paesi dell’Ue, che di solito laddove non riescono a portarsi al passo di quelli più avanzati, si affrettano a introdurre regolamentazioni e restrizioni. Trascurano che di conseguenza possono accumulare notevoli svantaggi verso paesi non soggetti alle stesse regole, che possono sviluppare senza limiti questa tecnologia per farne fattore di superiorità nella competizione internazionale.

In Europa si presta grande attenzione ai riflessi sulla sfera umana, sul lavoro, sulla sicurezza, sulla tutela della proprietà intellettuale, e sui rischi di impieghi deleteri per società e i valori della democrazia. Non si possono disconoscere questi aspetti negativi, ma bisogna inquadrarli in una realistica visione dell’evoluzione della società nel futuro. A dispetto di ogni restrizione, l’insieme dell’IA e dei suoi diversi modelli, inclusi Machine Learning e Deep Learning, segna l’avvio di una nuova era, un punto di svolta, che comporterà profondi e rapidi cambiamenti nella configurazione delle società, nei processi di produzione, nei rapporti di lavoro, nel funzionamento dei mercati, nell’attività di governo e nell’equilibrio di potere tra le nazioni. I fattori all’origine sono diversi.

È una tecnologia ad impiego polivalente, flessibile nell’adattarsi a ogni compito, di realizzazione ed evoluzione relativamente rapide, semplice da usare, ma molto complessa a progettare e formare, molto costosa e soggetta anche a distorsioni ed allucinazioni. Richiede notevoli investimenti in capacità computazionali e competenze specialistiche, la disponibilità di semiconduttori particolari, consistenti risorse finanziarie e grandi masse di dati adatti per il compito da svolgere, con cui allenare gli algoritmi. Proprio da queste caratteristiche derivano molti dei rischi di posizioni dominanti e distorsioni che i governanti vogliono limitare. Ma fino a che punto benefici e rischi si sono attualmente materializzati?

Le diverse indagini sul campo non sembrano suffragare né i timori per i rischi, né le attese di effetti prodigiosi per gli utilizzatori, siano essi imprese o individui. Si ipotizzava una rapida adozione dell’IA, se non una veloce diffusione della sua produzione a causa dei grandi investimenti e delle competenze richiesti. In realtà, la diffusione tra le imprese stenta a decollare sia in Italia, sia negli altri paesi dell’Ocse. Nel nostro l’Istat evidenzia che nel 2023 soltanto il 5% delle imprese con almeno dieci addetti le impiega, con poca differenza tra imprese piccole e medie, mentre tra le grandi è più diffusa (24% circa). L’andamento della diffusione non sembra intensificarsi negli ultimi anni, anzi mostra qualche arretramento, segno che non è così semplice farne uno strumento per potenziare le attività dell’impresa.

Non è sorprendente, in quanto si è ai primi stadi del processo di apprendimento per tutti. Si può disporre di uno strumento eccezionale, ma si deve conoscere bene come trarne beneficio ed inserirlo nei processi aziendali. È indicativo che una parte notevole delle imprese e anche dei cittadini non sa ancora a che scopo ricorrervi. Non si tratta, infatti, di un software d’impatto immediato, perché farne un utilizzo appropriato, ovvero uno strumento gestionale e di innovazione presuppone un piano di riorganizzazione dei processi e dei ruoli nell’intera impresa, un compito di grande impegno. Occorre farne esperienza, provarlo, adattarlo alle esigenze e agli obiettivi da perseguire e renderlo fattore di competitività.

Una prova è data dai settori in cui è relativamente più usato, ovvero informatica (24%), telecomunicazioni e industria dei media (video, cinema, etc…), seguiti da attività professionali e quelle nel campo abitativo. Il maggior uso dell’IA è funzionale, in ordine di intensità, al miglioramento della produzione, manutenzione predittiva, marketing, politiche di vendita, cybersecurity, R&S e innovazione. Le modalità principali consistono nell’automazione dei processi, l’analisi di testi per estrarne tendenze, schemi, modelli, oppure generarne di nuovi, il riconoscimento vocale e l’apprendimento automatico (machine learning), che è particolarmente impiegato dalle grandi imprese.

I modesti progressi nella diffusione e nel numero di tecnologie IA impiegate dalle imprese sono spiegati dall’insufficienza delle competenze specialistiche e di quelle complementari, dagli alti costi fissi d’investimento e dalla pochezza dei dati su cui poter fare leva per l’addestramento dei modelli. Quest’ultimo ostacolo mette in evidenza il problema dell’accesso alle informazioni, in quanto queste sono la materia prima che permette alla tecnologia di produrre i risultati attesi. Sul tema intervengono molte considerazioni che non hanno ancora ricevuto risposte soddisfacenti dai governanti, in quanto necessitano ardui bilanciamenti tra la tutela della proprietà dei dati, la protezione da usi impropri, l’esigenza di aprire alla concorrenza, la remunerazione dei costi di produzione dei dati e il perseguimento degli interessi collettivi. Senza entrare in un’approfondita discussione di questi aspetti e delle soluzioni, è chiaro che questo è il nodo più critico nella diffusione e corretto uso dell’IA.

Il quadro osservato in Italia negli impieghi e negli ostacoli si riscontra con significativa analogia in altre paesi più avanti nella digitalizzazione. È il caso della Corea del Sud. Poco meno del 5% delle imprese usa l’IA, con una diffusione tra comparti produttivi analoga a quella italiana, ovvero un impiego relativamente più diffuso nell’informatica e nelle telecomunicazioni (19%), e molto basso nell’industria e nel commercio al dettaglio (attorno al 2,7%). Analogamente, l’IA trova più estesa applicazione tra le grandi imprese e poca tra le altre, più tra le imprese mature (oltre dieci anni di vita) che tra le giovani, viene utilizzata prevalentemente per lo sviluppo di prodotti e servizi, molto meno per i processi produttivi, il marketing e le vendite, e si fa affidamento soprattutto su modelli di IA sviluppati all’interno dell’impresa, con scarso ricorso a fonti sempre interne al paese.

Le più recenti analisi dell’Ocse confermano i medesimi andamenti e caratteristiche in altri paesi membri. I settori delle tecnologie Ict, media e computers sono quelli in si fa maggior utilizzo e in generale gli ostacoli alla diffusione risultano analoghi. Le startup nel campo dell’IA e le imprese di recente formazione mostrano, tuttavia, una maggiore propensione ad adottare le tecnologie IA. Cruciale fare leva su risorse umane specialistiche e su tecnologie complementari, perché l’IA presenta una grande interdipendenza con altre tecnologie e con risorse umane dotate di skills complementari.

Nel panorama dei benefici e dei rischi l’attenzione si focalizza sull’effetto che l’adozione dell’IA esercita su produttività, innovazione, ricerca, concorrenza ed occupazione. L’evidenza statistica sui risultati non appare, tuttavia, convergente. Nel confronto con le imprese che non l’adottano, quelle utilizzatrici si dimostrano più innovative e anche creative; alla lunga riescono ad elevare la produttività in misura maggiore. Ma nel breve termine si assiste al paradosso che il prodotto per addetto tende a diminuire, prima di innalzarsi con un andamento a forma di lettera J. La spiegazione più plausibile sta nelle difficoltà che l’impresa incontra nelle prime fasi dall’introduzione dell’IA nell’estrarre il pieno valore risultante dal cambiamento. È necessaria, in particolare, un’estesa riorganizzazione dell’azienda e della stessa allocazione del lavoro nel processo dalla progettazione del prodotto fino al post-vendita, realizzazione che avviene in tempi non brevi e postula un management innovativo e capace. La conferma si ha dalla stessa evidenza che si riscontra nelle imprese utilizzatrici: con l’adozione dell’IA non si rileva la temuta sostituzione di lavoro con la nuova tecnologia, ma un aumento dell’occupazione dovuto all’ingresso di nuove competenze. Di fatto, il cambiamento principale avviene nei compiti da svolgere e quindi nelle professionalità richieste, più che nel numero di posti di lavoro.

Sul piano della concorrenza, l’effetto che si osserva è l’ampliarsi della distanza in termini di potere di mercato tra le imprese più grandi, che hanno investito molto nello sviluppo, sperimentazione ed applicazione degli algoritmi di IA al proprio interno, e quelle meno grandi che non dispongono di queste possibilità. Tende, quindi, a emergere una competizione sui mercati, in cui le imprese più avanzate “prendono tutto” lasciando le altre in posizioni marginali. Una delle conseguenze di questa concorrenza impari è che aumenta la maggiorazione dei prezzi sui costi, i mark-up, per chi domina il mercato.

Molti dei problemi sollevati dall’IA nel mondo delle imprese e dei mercati appaiono meno intensi nell’esperienza della sua introduzione nel settore dei servizi pubblici. I benefici, invece, sarebbero di più grande portata: si otterrebbero in specie significativi incrementi nella quantità e qualità dei servizi, una programmazione più efficace nel soddisfare i bisogni dei cittadini, aumenti di efficienza operativa e una limitazione dei costi della pubblica amministrazione. Non mancherebbero, tuttavia, le difficoltà nell’introdurla nel sistema amministrativo, in quanto la nuova tecnologia va accompagnata come nel privato da un’ampia riorganizzazione e un ingente sforzo di formazione del personale.

In Italia la Pubblica Amministrazione (Pa) si sta aprendo ad impiegare l’IA tra non poche difficoltà di addestramento delle risorse umane, adattamento dei procedimenti e con chiare resistenze al nuovo.  Una recente indagine di Tig traccia un quadro interessante della situazione attuale. In questo campo la Pa sta sperimentando l’impiego con progetti pilota particolarmente nell’automazione dei procedimenti, nell’analisi dei dati o testi, nella generazione di documenti e nell’assistenza ai cittadini. L’impiego interessa maggiormente l’amministrazione centrale e marginalmente quella locale (6% degli enti intervistati), benché il 43% si dichiari interessato e il 24% ne stia studiando l’introduzione. Anche nella PA gli ostacoli maggiori alla diffusione sono rappresentati dalla carenza di competenze (57%) e dai costi, con l’aggravio dell’incompatibilità con i sistemi già in uso, mentre l’aspetto inconsueto è la resistenza al cambiamento, che è indicata dal 44% degli enti. Andrebbe, pertanto, potenziato l’investimento nella formazione specialistica del personale, accompagnandolo con l’assistenza nelle applicazioni, almeno nelle fasi iniziali. Quanto alle resistenze, sono segni di insufficiente attenzione di parte del personale alla performance nell’assolvimento dei compiti, ben sapendo che l’IA conduce a un aumento della produttività del lavoro. Superare questi atteggiamenti è possibile con una riorganizzazione del sistema amministrativo, che sarebbe peraltro inevitabile se si volesse fare un utilizzo efficiente dell’IA.

Le tendenze in atto in Europa e in America mostrano in essenza che il passaggio alle nuove tecnologie è inesorabile tra le imprese e nel settore pubblico, che gli effetti negativi non si sono palesati come paventato e che le comprensibili resistenze saranno spazzate via dal rapido avanzamento tecnologico che è il portato dei tempi. Sarebbe, quindi, deleterio per il futuro di ogni paese non impegnarsi a fondo fin d’ora nella maggior formazione e nell’adattamento al nuovo.

 

 



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