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La condanna a Israele del mondo arabo-islamico è anche un messaggio a Trump

Il mondo arabo-islamico segnala le sue posizioni tra volontà delle leadership e istinti delle collettività. La presenza di cinquanta capi di Stato e di governo in un vertice straordinario a Riad va letto anche in vista dell’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump

A Riad, più di cinquanta leader arabi e islamici si sono riuniti per un vertice congiunto della Lega degli Stati Arabi e dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica, convocato in via straordinaria dal Re Salman e presieduto dal principe ereditario Mohammed bin Salman. Il vertice si è concentrato sulla situazione in Medio Oriente, in particolare sui conflitti in corso a Gaza e in Libano, e sulla necessità di una risoluzione basata sul diritto internazionale.

In un contesto regionale sempre più complesso, caratterizzato da vecchie dinamiche e da una rinnovata assertività di attori come l’Iran, dal vertice esce una posizione critica sull’andamento della situazione, ma che le fonti descrivono come “ottimista” riguardo al ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump — con il repubblicano che “al contrario che da voi in Europa è visto da noi in Medio Oriente come un potenziale elemento di stabilizzazione, o almeno così vogliamo pensare”, dice un diplomatico tra i tanti partecipanti. Dall’incontro saudita sembra emergere un segnale diretto alla futura amministrazione americana, anticipando le posizioni e le aspettative del mondo arabo-islamico.

I leader, in uno statement condiviso composto da 38 punti, hanno riaffermato con forza il diritto dei palestinesi a uno Stato indipendente entro i confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale. La causa palestinese, definita “universale”, viene presentata come un imperativo non negoziabile, sottolineando la resistenza palestinese come simbolo delle aspirazioni di tutti i popoli oppressi.

A sostegno dell’unità palestinese, il vertice ha riconosciuto il ruolo dell’Olp e degli sforzi egiziani per rafforzare un governo unificato tra Gaza e Cisgiordania, rappresentando così l’intera causa palestinese in maniera coerente e unitaria.

Un elemento centrale è stata la denuncia contro “l’aggressione israeliana a Gaza e in Libano”, richiedendo un cessate il fuoco immediato e l’intervento della Comunità internazionale per proteggere i diritti umani fondamentali. Questa posizione ferma può essere interpretata come un monito: il mondo arabo-islamico non tollererà ulteriori escalation senza una risposta forte e decisa.

L’assemblea ha formulato un appello per un embargo internazionale sulle armi dirette a Israele, supportato da un gruppo di Paesi tra cui la Turchia. Questa proposta rappresenta un avvertimento politico verso tutti quei Paesi, sostanzialmente occidentali, che hanno ancora attivo un collegamento di fornitura con Israele. I leader hanno anche chiesto l’intervento della Corte Penale Internazionale per perseguire i responsabili dei crimini contro il popolo palestinese, considerando tale azione un obbligo morale della Comunità internazionale.

In quest’ottica, Gerusalemme è stata dichiarata una “linea rossa” per le nazioni arabe e islamiche. I leader hanno espresso preoccupazione per i tentativi di alterare l’identità culturale e religiosa di Gerusalemme Est, invocando il rispetto dei luoghi sacri e chiedendo ancora anche in questo caso l’intervento della Comunità internazionale — per tutelare la libertà di culto.

Apprezzando gli sforzi di Egitto e Qatar per negoziare un cessate il fuoco, i partecipanti hanno ribadito la responsabilità di Israele per il fallimento dei colloqui. Questa posizione è stata particolarmente spinta da Doha, che ha recentemente annunciato di tirarsi indietro momentaneamente dal processo negoziale per i pochi progressi raggiunti, e successivamente ha chiesto ai dirigenti di Hamas presenti nel proprio territorio di lasciare il Paese. Anche per questo dal vertice arriva un rinnovato impegno globale per il dialogo, segnalando che la pace può essere raggiunta solo attraverso un approccio multilaterale e inclusivo.

Condannando le violazioni della sovranità libanese, il vertice ha poi espresso pieno sostegno al Libano, richiedendo il rispetto della Risoluzione 1701 dell’Onu e la protezione dei civili e delle forze di pace.

Questi punti non rappresentano solo dichiarazioni di principio, ma un messaggio politico chiaro alla futura amministrazione americana, che sarà sicuramente molto aperta con Israele ma vorrà mantenere attivissimo lo scambio con i grandi Paesi del Golfo, a cominciare dai sauditi. In un Medio Oriente caratterizzato da nuove alleanze e da equilibri in evoluzione, il mondo arabo-islamico vuole segnalare fin da ora la sua linea di fermezza. I leader regionali sembrano voler definire il perimetro delle proprie aspettative e priorità.

La presenza di cinquanta capi di Stato e di governo in questo vertice straordinario sottolinea l’unità di intenti e la rilevanza socioculturale di certe posizioni, delineando una piattaforma comune che mira a influenzare la futura politica statunitense nella regione. Quei leader non rispondono solo alle esigenze degli establishment, ma segnalano con le loro parole che le collettività regionali hanno una posizione da dover rispettare — quanto meno nella narrazione pubblica e strategica.


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