Ai Med Dialogues, il mare e il potere navale tornano al centro del dibattito. L’esistenza e l’aggiornamento di una strategia mediterranea dell’Italia è ormai un’esigenza ineludibile per il Paese ma il rilancio italiano passa anche da un’ammissione degli errori del passato. In questa nuova era di sfide e opportunità l’Italia può giocare un ruolo da protagonista, ma attenzione a dare per scontato che il Mare Nostrum sia solamente “nostro”
L’Italia, benché a fasi alterne della storia nazionale lo dimentichi, è un Paese marittimo. Sicuramente la Penisola non si limita ad essere ‘solamente’ un Paese marittimo, ma la sua centralità nello specchio d’acqua che unisce tre continenti è stata troppo a lungo derubricata a mero dato geografico. Questo è quanto emerge dai Med Dialogues, la conferenza annuale organizzata dall’Ispi e dalla Farnesina. Il tema del mutamento delle dinamiche geopolitiche legate al Mediterraneo è stato al centro del dibattito che ha visto Stefania Craxi, presidente della commissione Affari esteri e difesa del Senato, analizzare passato e presente della relazione, alle volte complessa, tra l’Italia e il suo mare. “Il Mediterraneo è parte imprescindibile della proiezione esterna dell’Italia” ha sottolineato la senatrice, evidenziando come tale consapevolezza non sia sempre stata così chiara al Paese o all’opinione pubblica. Da e attraverso il Mediterraneo (nonché sotto di esso) passano molteplici vettori dell’interesse nazionale ed europeo, dai traffici commerciali alle forniture energetiche ai collegamenti internet. Le dinamiche politiche che si sviluppano sulle sue sponde interessano direttamente la stabilità e la sicurezza dell’Italia così come dell’Unione europea e della Nato. Come ricorda Craxi, “Abbiamo smarrito per decenni la via del Mediterraneo”, tra l’illusione che la globalizzazione avrebbe invalidato la rilevanza geostrategica di questo mare e, da parte europea e transatlantica, una fin troppo esclusiva attenzione verso il Baltico e il cosiddetto fianco Est. Ora “ci siamo resi conto che esiste il Mediterraneo” e che noi esistiamo anche come parte di esso. Sempre meglio tardi che mai.
Il ritorno di Roma al mare
Oggi sono due i dati che cambiano consistentemente la natura dell’approccio strategico che i Paesi hanno nei confronti del Mediterraneo: il ritorno della competizione tra grandi potenze e la frammentazione dell’ordine mondiale così come lo conoscevamo prima della pandemia e dell’invasione dell’Ucraina. Come spiegato da Zaid Eyatad, direttore del Center for strategic studies dell’università della Giordania, la concentrazione di interessi commerciali, energetici e strategici che caratterizza il Mediterraneo costituisce oggi un nuovo terreno di scontro tra i grandi attori in competizione tra loro. Di fronte a questo mutamento di portata mondiale nello stato delle relazioni internazionali, le medie potenze mediterranee tornano ad avere un ruolo importante nello scenario più ampio. Per molto tempo l’Italia ha guardato al Mediterraneo solo come un confine, ritenendosi non in grado di poter (o voler) influire sulle sue dinamiche, le quali la toccano da vicino. Il mare rappresenta invece un collegamento incontestabile, capace di farsi vettore di opportunità così come di crisi.
Come fa notare Craxi, “fino ad adesso abbiamo affrontato il tema del Mediterraneo in modo sporadico” e “senza una strategia continuativa”, ma la strada per una riaffermazione del ruolo dell’Italia passa inevitabilmente da un suo coinvolgimento più attivo negli affari rivieraschi. Il Piano Mattei è un primo passo importante che restituisce la necessità di un approccio olistico che tenga conto della relazione tra il mare e le realtà, anche non direttamente prospicienti, che vi si relazionano. Secondo Craxi “il Piano non può essere esaustivo del nostro impegno nel Mediterraneo ma ha avuto il pregio di indicare una rotta”. Tale rotta passa inevitabilmente da una revisione sugli errori del passato. Il pensiero e l’esempio di Craxi vanno alla Libia, dove l’Italia ha “appaltato solo all’Onu la gestione della crisi”, rifiutandosi di giocare un ruolo da protagonista e lasciando che altri attori colmassero il vuoto lasciato da Roma. Ora, partendo dall’esame di condizioni e opportunità, l’Italia ha l’occasione di tornare a coltivare una legittima ambizione che, secondo la presidente, si sustanzia nella gestione attiva delle crisi e nell’assunzione di un ruolo più rilevante nella regione.
Il Mediterraneo è anche un interesse transatlantico
Il mutamento odierno delle dinamiche mediterranee è attestato anche dalle minacce alla sicurezza della navigazione nelle sue immediate vicinanze. Come ha evidenziato l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, già capo di Stato maggiore della Difesa e prossimo Chairman del comitato militare della Nato, “nel settembre del 2024 il commercio nel mar Rosso è calato del 60% rispetto allo scorso anno” a causa degli attacchi degli Houthi. Tuttavia gli attacchi degli Houthi sono a loro volta connessi al conflitto in Medio Oriente, così come alla guerra in Ucraina (si veda il supporto offerto dalla Russia ai miliziani yemeniti). Di conseguenza, alla rinnovata importanza strategica del Mediterraneo si unisce anche una degradazione importante della sicurezza nell’area. Secondo l’ammiraglio, i Paesi occidentali, sia in ottica Nato sia europea, sono intervenuti con più missioni militari (Aspides e Prosperity guardian) per la tutela delle rotte, a riprova della centralità di questa regione per gli interessi transatlantici. In questo nuovo Mediterraneo fatto di sfide e competizione, la Nato può giocare un ruolo importante sia come stabilizzatore sia come piattaforma per il dialogo tra Stati che condividono gli stessi valori. Questo esempio, sottolinea Cavo Dragone, vale anche nei confronti di regioni più esterne, eppure legate al Mediterraneo, come l’Indo-Pacifico, dove il dialogo con Stati come Giappone, Corea del sud e Australia si articola nel segno della stabilità e del capacity building.
Turchia e Italia in rotta di collisione?
Di particolare interesse è stato anche l’intervento del vice ammiraglio Yalçın Payal, capo di Stato maggiore della marina militare turca. Seppur riconoscendo l’importanza del dialogo e della cooperazione per la gestione di dossier complessi come Cipro e il Medio Oriente, il vice ammiraglio non ha esitato nel ribadire gli interessi e la posizione della Turchia nel bacino. Ankara ritiene infatti che gli altri Stati rivieraschi vogliano “confinare” la Turchia, contestando l’espansione delle sue Zone economiche esclusive in relazione ai giacimenti di gas sottomarini nel bacino orientale. Payal parla di un “inaccettabile mancato riconoscimento delle zone di influenza turche” come di una minaccia alla stabilità regionale. La scelta terminologica non è casuale.
La Turchia, similmente a come sta facendo ora l’Italia, ha riscoperto l’importanza del Mediterraneo per la sua proiezione esterna a distanza di un secolo dalla caduta dell’Impero Ottomano ha inaugurato la dottrina della Patria Blu, che prevede una ricostruzione della sfera d’influenza di Ankara tramite un rafforzamento delle sue capacità navali. La presenza della Turchia nella Nato continua a garantirne lo status di alleato, ma il perseguimento di una simile strategia cozzerà inevitabilmente con la riaffermazione di altre medie potenze come l’Egitto e l’Italia stessa. I giacimenti a cui guarda Ankara sono gli stessi che vengono corteggiati dall’Eni ed è innegabile che la riaffermazione della Turchia in Libia sia passata per il ridimensionamento del ruolo dell’Italia (a cui, a onor del vero, Tripoli si era rivolta per prima). Il cambiamento è inevitabile. I periodi di mutamento sono complessi e al momento ci troviamo in una fase in cui interessi e strategie si stanno riqualificando sensibilmente rispetto al passato. Finora Roma e Ankara stanno entrambe perseguendo la via del dialogo mentre rafforzano le loro prerogative nella regione. Se gli interessi e i metodi di questi due attori troveranno un terreno comune e un linguaggio condiviso, potremmo assistere alla nascita di una partnership proficua e di lungo periodo. Tuttavia, il ritorno di termini ottocenteschi come “sfere d’influenza” non può passare inosservato e deve far riflettere sull’importanza di un confronto franco e diretto tra attori che condividono così tanti interessi che possono portare, in egual misura, alla cooperazione o allo scontro. D’altronde, tutti sanno qual è la fine che fanno due galli nello stesso pollaio.