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Nel giorno di Mumbai, Jaishankar ricorda al G7 il problema terrorismo nell’Indo-Mediterraneo

A sedici anni dal mostruoso attacco jihadista in India, il ministro Jaishankar ricorda al G7 quanto conta ancora la lotta al terrorismo per gli equilibri internazionali

A sedici anni dall’attentato del 26 novembre a Mumbai, in cui un commando jihadista colpì con violenza devastante il cuore economico e simbolico dell’India, il ricordo di quell’evento tragico torna con forza in un mondo che ancora fatica a coordinare una risposta globale, efficace contro il terrorismo. Gli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre 2023, avvenuti in un contesto differente ma con paralleli inquietanti, e in grado di innescare una nuova stagione di guerra in Medio Oriente, mostrano come la minaccia jihadista continui a rappresentare una problematica multiforme e globale. La diffusione dei gruppi nel Corno d’Africa e nel Sahel testimonia la misura che, a meno di dieci anni dall’obliterazione della dimensione statuale del Califfato (un’eccezione formidabile nella storia del terrorismo), il fenomeno mantiene — tutt’ora in grado di alterare gli equilibri geopolitici e quelli quotidiani delle collettività.

Jaishankar: “Condanniamo il terrorismo e la violenza”

Lo ha ricordato anche il ministro degli Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, intervenendo ai Med Dialogues a Roma. “L’India condanna il terrorismo e la violenza. Il diritto internazionale non può essere accantonato”. Le sue parole non solo evocano una condanna morale ma sottolineano anche la necessità di un approccio multilaterale per affrontare le minacce terroristiche, specialmente in regioni vulnerabili come il Medio Oriente e l’Africa. Un altro tema su cui l’India si inserisce con forza nella leadership internazionale.

D’altronde la stabilità nell’Indo-Mediterraneo (che racchiude la regione Mena e l’Africa più profonda, verso le coste sull’Indiano) è cruciale per l’India quanto e per l’Europa, per il Medio Oriente e per i tanti interessi globali che ruotano attorno all’area (che per esempio racchiude Suez, martoriata dal terrorismo degli Houthi e dalla provincia del Sinai dello Stato islamico, e lo Yemen dove la filiale qaedista Aqap cresce di potere proprio davanti al chokepoint di Bab el Mandeb). Questo contesto geopolitico richiama la lezione di Mumbai: nessun Paese è immune dal terrorismo e solo la cooperazione può offrire soluzioni durature. Un richiamo tanto più realistico per New Delhi se si considera la consistenza che le istanze jihadiste stanno acquistando in questo momento nel Subcontinente asiatico.

Mumbai 2008: un attacco senza precedenti

L’attacco del 2008 rappresentò un punto di svolta per l’India e la lotta al terrorismo regionale. Coordinato dal gruppo jihadista Lashkar-e-Taiba (LeT), con una probabile connessione con al Qaeda, l’assalto coinvolse diversi obiettivi strategici, come il Taj Mahal Hotel (un simbolo dell’industria turistica indiana), causando oltre 170 morti e rivelando lacune nella sicurezza nazionale. L’evento catalizzò una risposta nazionale, con riforme che rafforzarono le capacità di intelligence e un nuovo focus sul contrasto al terrorismo transnazionale.

Parallelismi con quanto avvenuto il 10/7 contro Israele non mancano: entrambi gli attacchi hanno messo in evidenza una rete jihadista diffusa, in grado di creare connessioni multilivello e capace di sfruttare instabilità locali e vuoti organizza per condurre operazioni che poi si sono rivelata a impatto globale. L’unione di gruppi come Houthi, AQAP e al-Shabaab, osservabile in questa fase, riflette tale tendenza. La loro capacità di operare in contesti critici come l’Indo-Mediterraneo dimostra la necessità di strategie congiunte e multilaterali.

Il Sahel e la nuova geografia del terrore

Lo scenario del Sahel offre un altro esempio della diffusione del terrorismo. Gruppi jihadisti usano aree come il nord del Ghana da base logistica, aumentando i rischi per l’intera regione dell’Africa centro-occidentale e dimostrando che la diffusione da est a ovest del continente rende insicure tanto le rotte per Suez quanto potenzialmente il ritorno alla circumnavigazione.

Questa destabilizzazione riflette modelli simili a quelli che precedettero gli attacchi di Mumbai. E l’attuale ritorno al disordine generale, con la guerra in Ucraina e quella attorno a Israele che destabilizzano l’ampia area di interconnessione tra Europa e Asia, crea l’opportunità ai gruppi jihadisti per espandere le proprie operazioni. Anche a livello di narrazione e dunque proselitismo, calcando su tematiche anti-occidentali che attori statali ostili (come per esempio il gruppo CRINK) diffondono come tentativo di destabilizzazione nelle collettività del Global South, con l’interesse strategico di portarle lontane dall’Occidente e ri-tracciare a proprio vantaggio il perimetro della governance internazionale. I gruppi combattenti sfruttano il contesto, sono opportunistici, cercano di capitalizzare per avere sempre più seguaci, dunque più potere (o in termini ideologici per raggiungere la propria missione).

Imparare dal passato per affrontare il futuro

Gli attentati del 2008 e del 2023 hanno matrici diverse e appartengono a stagioni e storie differenti, ma dimostrano la persistenza del terrorismo come fenomeno adattabile e in continua evoluzione. La resilienza, la cooperazione internazionale e la prevenzione sono le uniche risposte efficaci, come evidenziato anche durante la ministeriale Esteri ospitata in questi giorni a Fiuggi. La riunione ha dato particolare attenzione al disordine mediorientale e, come da mandato della presidenza italiana, alle questioni securitarie — dalla sicurezza marittima a quella energetica, da quella alimentare a quella sanitaria. Tutte tematiche in cui il terrorismo è ancora un problema. D’altronde, se è vero che la connettività è una delle grandi questioni del futuro globale, allora va tenuto conto innanzitutto di come gruppi combattenti si stiano inserendo nelle interconnessioni strutturali, dalle rotte dal Mar Rosso a Imec, fino alla Belt & Road Initiave — che le organizzazioni jihaidiste combattono secondo una narrazione anti-imperialista simile a quella usata nei confronti dell’Occidente.

Le sfide nel Sahel e nell’Indo-Mediterraneo richiedono uno sforzo coordinato tra stati, istituzioni e società civile. L’India, nelle sue discussioni con l’Italia e con il G7, immagina anche una maggiore condivisione di attività di intelligence orientata alla lotta delle realtà combattenti, consapevoli che la crescita di dimensione e potere aumenterà l’attenzione al Subcontinente dei gruppi internazionali. Tanto più sulla scia delle polemiche sul mancato rispetto dei diritti dei musulmani che il governo Modi subisce, anche attraverso dinamiche di disinformazione create dai movimenti islamici più radicali. L’anniversario di Mumbai serve in quest’ottica, non solo come ricordo delle vittime, ma anche come un monito: “Il terrorismo prospera nelle divisioni, mentre la sicurezza globale si costruisce sulla collaborazione”, è la visione indiana.

(Foto: Trident Hotel in Mumbai)


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