“In Ucraina bisogna gestire due controparti non facili e in Medio Oriente Netanyahu ritiene ancora che le operazioni su Gaza non debbano terminare”. I dazi di Trump? “Non invidio chi dovrà assumere la presidenza del G7 nel 2025”. E sul caso Houthi, “è ovvio che l’Italia, essendo un Paese con un’economia aperta, è molto interessata al mantenimento di un sistema di libero scambio”. Conversazione con il presidente dello Iai Ferdinando Nelli Feroci
“Sono abbastanza scettico sulle prospettive di pace in Ucraina e anche nella regione mediorientale. Immagino magari un conflitto a minore intensità: sarebbe già un risultato, ma in un quadro di sostanziale e permanente instabilità”. Così a Formiche.net l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dello IAI, già Rappresentante permanente d’Italia presso l’Unione europea e commissario europeo per l’Industria e l’imprenditoria nella Commissione Barroso. Punto di partenza del ragionamento dell’esperto diplomatico è il G7 di Fiuggi, conclusosi nelle stesse ore in cui veniva annunciato il cessate il fuoco in libano, e che si intreccia ad una serie di variabili come le prossime mosse dell’amministrazione americana e le richieste di Putin in Ucraina.
Che bilancio si può fare del G7 di Fiuggi?
Dal vertice di Fiuggi viene un messaggio di fermo sostegno all’Ucraina, per certi aspetti atteso e prevedibile, ma comunque resta sempre un passaggio importante che i sette grandi anche in questa occasione abbiano mantenuto la linea, nonostante tutto quello che sta succedendo sia in loco sia rispetto a possibili evoluzioni conseguenti alle elezioni americane. Resta naturalmente l’incognita data dalle iniziative che vorrà o potrà assumere l’amministrazione americana una volta insediata, ma questo evidentemente non era qualcosa da cui potevano venire risposte a Fiuggi. Circa i fondi da 50 miliardi che sarebbero il risultato della messa a frutto degli interessi degli asset russi congelati, siamo ancora ad una fase, mi par di capire, interlocutoria perché siamo all’accoglienza con favore dei principi e delle caratteristiche tecniche dell’iniziativa. Si tratta di una questione tecnicamente molto complessa, per cui è ovvio che occorre ancora del lavoro per potere rendere operativa quella decisione che fu, in qualche modo, celebrata al vertice di Borgo Egnazia.
Sul conflitto mediorientale c’è stata, in contemporanea al G7, la novità del cessate il fuoco in Libano.
Erano presenti a Fiuggi i due ministri dei due Paesi che sono stati protagonisti di questa mediazione, il segretario di Stato americano e il ministro francese: non so quanto abbiano informato gli altri colleghi di quello che stava succedendo. Il vertice si limita a chiedere un cessate il fuoco e questo cessate il fuoco poi è arrivato. Non ho visto il testo dell’accordo, ma immagino che si porrà un problema di rilancio della missione Unifil in quella regione e si tratterà anche di capire meglio, con qualche maggiore dettaglio, che ruolo Stati Uniti e Francia intendono riservarsi nel monitoraggio dell’attuazione di questo accordo. Resta il messaggio di disagio per quello che sta succedendo a Gaza e la richiesta che si arrivi rapidamente anche lì ad una cessazione delle ostilità, ma su questo non mi sembra di aver registrato niente di particolarmente nuovo.
“Italia al centro delle catene del valore globale”, ha osservato ai Med Dialogues il ceo di Philip Morris Italia Hannappel: tra alleati atlantici, indopacifico e Africa l’Italia sta lavorando per una visione globale?
È ovvio che l’Italia, per motivi fin troppo evidenti essendo un Paese con un’economia aperta, è molto interessata al mantenimento di un sistema di libero scambio perché è un Paese esportatore e al tempo stesso importatore, per cui ha interesse alla resilienza delle catene del valore e ha interesse che non si provochino strozzature, blocchi o frammentazioni, come per esempio successe nel periodo del covid. Non dimentichiamo che ciò può succedere ogni volta che siamo in presenza di un conflitto che, per quanto regionale, ha un impatto su questi fenomeni. Basta vedere cosa accade quando gli Houthi attaccano le navi che sono dirette al canale di Suez attraverso il Mar Rosso. Quindi, se è ovvio che questo è un interesse italiano, altrettanto è anche un interesse europeo perché sostanzialmente tutti i Paesi europei hanno caratteristiche simili, con surplus commerciali molto importanti, a volte troppo importanti perché provocano squilibri che poi vanno gestiti. Il problema vero ora, al di là delle catene del valore, è la risposta alle prevedibili misure che saranno adottate dalla nuova amministrazione americana e che avranno un impatto molto pesante sul commercio internazionale.
Ovvero?
In qualche modo impatteranno sulle catene del valore. Ieri l’amministrazione americana ha annunciato l’imposizione di dazi pesanti del 20% anche su due Paesi vicini, come Canada e Messico: una misura che sarebbe una violazione degli accordi commerciali che esistono in quella regione tra Stati Uniti, Pacifico, Canada e Messico. Le prossime tariffe ci saranno anche sulle merci europee oltre che sulle merci cinesi: quello sarà un tema molto delicato da gestire per l’Europa e ancor più delicato da gestire in un contesto G7 il prossimo anno. Non invidio chi dovrà assumere la presidenza del G7 nel 2025, quando il vertice si dovrà trovare ad affrontare il tema del commercio internazionale e della ricostituzione delle catene del valore, in una situazione in cui l’amministrazione americana sarà verosimilmente molto aggressiva sotto questo profilo.
Il ministro Antonio Tajani ha chiesto di non abituarci alla guerra, a nessuna guerra. Come fermare quelle in corso?
Temo che non siamo molto vicini a fermarle, né a Kyiv né a Gaza. Purtroppo non vorrei sembrare eccessivamente pessimista, ma sul fronte ucraino io immagino che l’amministrazione americana vorrà prendere una qualche iniziativa, perché Trump si è molto esposto sotto questo profilo durante la campagna elettorale e vorrà fare qualcosa per sbloccare la situazione e arrivare perlomeno ad un cessate il fuoco. Però il problema è che si troverà a gestire due controparti non facili. Ciò vale da un lato per l’Ucraina, che in questo momento ha intenzione di continuare a difendersi senza passi indietro sulla questione territoriale. Ha intenzione soprattutto di chiedere precise garanzie di sicurezza una volta che eventualmente possa essere terminato il conflitto. Ed è perfettamente comprensibile. Ma l’incognita maggiore, a mio avviso, è costituita da Putin che in questo momento sta meglio di un anno fa. È probabile che Putin non abbia nessun interesse ad accettare in questa fase un cessate il fuoco, perché si sente in una posizione di forza: potrebbe voler proseguire l’offensiva sul terreno per poter acquisire quanto più possibile territorio ucraino prima di arrivare ad una qualche forma di cessazione delle ostilità. Senza contare il fatto che per Putin c’è un tema irrinunciabile.
Quale?
Quello della neutralità dell’Ucraina. Aggiungo che c’è, probabilmente a lungo termine, un disegno mai abbandonato che è quello di recuperare l’Ucraina in una sfera di influenza della Russia, il che potrebbe essere realizzato attraverso un’operazione di regime change nei confronti dell’attuale leadership ucraina sul fronte mediorientale. Sul fronte libanese positivo che si sia arrivati ad un accordo per il cessate il fuoco sul confine settentrionale, anche se è un accordo ancora caratterizzato da molte incognite. Non sappiamo se terrà e quanto terrà, ma è già uno sviluppo positivo. Però a mio avviso questo sviluppo positivo verrà sfruttato da Netanyahu per recuperare forze, personale, mezzi, armamenti da riutilizzare a Gaza e probabilmente in Cisgiordania. E non mi sembra di intravedere sul fronte di Gaza nessuna prospettiva di cessazione delle ostilità. Netanyahu evidentemente ritiene ancora che le operazioni su Gaza non debbano terminare perché non è riuscito ancora a completare la missione di annientare Hamas. E lo stesso dicasi per la Cisgiordania di cui si parla meno, ma dove c’è un tentativo purtroppo sottile di espellere la popolazione palestinese da quella parte di territorio. Quindi sono abbastanza scettico sulle prospettive di pace anche nella regione mediorientale. Immagino magari un conflitto a minore intensità: sarebbe già un risultato, ma in un quadro di sostanziale e permanente instabilità.
Chiudiamo sulla Turchia: Mark Rutte è stato in visita ad Ankara e poi ad Atene. Erdogan ospiterà il prossimo meeting della Nato nel 2026. Come valutare il ruolo ibrido della Turchia, nella Nato e prossimamente anche nei Brics?
Non conosco i dettagli di questa visita ma è ovvio che, con tutte le sue specialità, la Turchia resta un un tassello essenziale dell’Alleanza atlantica che, evidentemente, è disposta a tollerare che su certe questioni giochi da battitore libero. Ritengo essenziale continuare ad averla inclusa nella comunità atlantica proprio per questo ruolo che può svolgere in certe situazioni, anche se è un giocatore che gioca un gioco suo, non necessariamente sempre allineato con quello degli altri alleati, ma utile in talune circostanze, come potrebbero essere le chance di mediazione nel conflitto in Ucraina.