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Perché la Cina pesca talenti tech in Occidente

Secondo il Wall Street Journal, Pechino starebbe portando avanti un’operazione di saccheggiamento delle migliori menti occidentali per pareggiare il divario tecnologico. I Paesi si starebbero già attrezzando, ma alcune azioni rischiano di essere controproducenti

Mentre l’Occidente cerca di mettere i bastoni tra le ruote della Cina per impedire che il know-how finisca nelle mani della rivale, questa si organizza per evitarle. Lo fa anzitutto rispondendo con lo stesso linguaggio, imponendo restrizioni, ma anche in un modo su cui è difficile intervenire. In base a quanto scrive il Wall Street Journal, Pechino sta portando avanti un’operazione di bracconaggio dei talenti occidentali che lavorano nel settore tecnologico, invogliandoli a spostarsi verso Est con offerte professionali migliori. Niente di illegale, in quanto si tratta di una tipica regola del mercato, ma sia gli Stati Uniti sia l’Europa stanno drizzando le antenne.

Il reclutamento di talenti rientra in uno degli obiettivi citati all’interno di un progetto promosso dal governo cinese nel 2017, in cui si chiedeva di attrarre “i più acuti scienziati di alto livello internazionale” dal settore dell’apprendimento automatico, la guida automatica (in Cina l’auto elettrica ha una grande importanza) e i robot intelligenti.

Tra le aziende più sotto osservazione c’è la tedesca Zeiss SMT, indispensabile per la costruzione di semiconduttori, con i suoi dipendenti finiti nel mirino della Huawei. Soprattutto quelli che sono a conoscenza di informazioni sensibili, raggiunti tramite LinkedIn, email o direttamente al telefono. Discorso simile vale per l’azienda tedesca Asml Holding, tra le più importanti al mondo nella realizzazione delle macchine litografiche, uno strumento essenziale per Pechino senza cui non può produrre i suoi chip.

Nel mirino del Dragone ci sono anche gli alleati dell’Occidente, come Taiwan. A settembre ha denunciato le attività illegali della Cina che sta sottraendo talenti dall’isola mettendo a repentaglio la sua competitività. Il saccheggio va avanti da quasi un decennio, con alcune aziende che si fingono del posto quando invece sono state create da Pechino con l’intento di racimolare nuovi talenti, ragion per cui si è resa necessaria una stretta legislativa. Nel 2022 sono state emanate nuove pene per chi passa informazioni altamente riservate: chi viola le regole può andare in carcere per 12 anni, oppure può ricevere una multa che arriva fino a circa 3 milioni di dollari. Anche la Corea del Sud sta inasprendo le pene per chi trasferisce materiale tecnologico sensibile.

Oltre alle pene però si può fare ben poco. Soprattutto perché queste riguardano attività illegali, come appunto il riferire questioni delicate a un Paese straniero. Ma attrarre talenti non è un reato e le società cinesi possono offrire stipendi superiori grazie ai finanziamenti statali. Ci sono anche dipendenti che non accettano per una ragione professionale, intimoriti che un’esperienza in Cina possa chiudere altre porte.

Alcuni governi occidentali stanno prendendo le contromisure, prestando molta attenzione agli investimenti di Pechino o recidendo alcune collaborazioni con università e istituti cinesi. Il che però mette a repentaglio il progresso. La partnership sino-americana ha dato un grande contributo per le scoperte più importanti, simbolicamente rappresentato dall’accordo di cooperazione scientifica siglato nel 1979 dall’allora presidente Jimmy Carter e l’omologo Deng Xiaoping.

Più di recente, tra il 2017 e il 2021, questa sinergia ha rappresentato il 27% della ricerca di alta qualità degli scienziati americani nella nanoscienza mentre solo la metà (13%) dei cinesi. Anche nel settore delle telecomunicazioni, la collaborazione ha riguardato il 33% della produzione statunitense e il 10% di quella cinese. Ciò significa che abbandonare la collaborazione costerebbe più all’America che non alla rivale. Un dilemma che ora passa nelle mani dell’amministrazione più anticinese dell’ultimo periodo.


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