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Perché i porti africani sono la nuova frontiera (anche per l’Italia)

Porti al centro della cooperazione economica tra Italia e Paesi nordafricani: il punto su infrastrutture e logistica, ma anche transizione energetica e digitale con attenzione agli sbocchi di tutta l’Africa che si affaccia sul Mediterraneo. Un’area che punta a diventare nei prossimi anni sempre più strategica a livello logistico per gli scambi con l’Europa e l’Occidente tutto. L’economia del mare e il Piano Mattei

Come sta cambiando il peso specifico dei porti nell’area a cavallo tra nordafrica ed Europa meridionale? In che modo settori trainanti del business (come infrastrutture, logistica, scambi commerciali e snodi tra il Vecchio continente e gli altri emergenti) potranno impattare sulle scelte future e sul paniere di alleanze e partnership? Alcune risposte possono ritrovarsi alla voce portualità e policies connesse. Nel mezzo il Lobito Corridor, il piano Mattei, la riforma dei porti italiani annunciata da Giorgia Meloni per il 2025 e il corridoio Imec, ovvero il progetto strategico che faciliterà i flussi commerciali tra Asia, Medio Oriente, Europa e Africa, tema su cui l’Italia potrebbe anche spingere per qualche deviazione futura e nordafricana.

Qui Africa

Su tutti svetta il porto di Tangeri, dotato di tre chilometri di moli per una profondità di 18 metri e cinque banchine. È il primo del Mediterraneo per volume di container, che gestisce oltre il 40% del traffico di transhipment verso il continente, e che si piazza al 19° posto nell’ultima classifica annuale dei 500 porti più grandi del mondo. Per questa ragione l’operatore portuale danese Apm Terminals ha annunciato nuovi investimenti da 400 milioni di dollari per ampliare e attrezzare la sua piattaforma nel porto. In soli 14 anni il porto è passato da zero a 8,6 milioni di teu movimentati nel 2023. Oggi vanta solide alleanze con colossi come Cma Cgm e AP Moller Maersk. Nonostante si trovi in Africa e dal momento che è idealmente sulle rotte europee, viene equiparato ai porti Ue quando si tratta di nuove normative come l’Eu Emissions Trading Scheme. Una situazione simile è quella di Port Said in Egitto.

Quest’ultimo si affaccia strategicamente sul Mediterraneo, dove si trovano le strutture onshore Eni di Zohr, El Gamil e Ugdc. Port Said e Alessandria sono le principali stazioni per le operazioni di spedizione e doganali nella regione intera. Il gancio geopolitico egiziano è dato dalle relazioni con l’Etiopia, Paese che non ha uno sbocco sul mare e che quindi è fortemente interessato a incrementare le esportazioni ottenendo l’accesso al Mar Rosso. Da lì potrebbe fare ingresso anche nelle rotte marittime internazionali.

Oltre le merci in Egitto c’è il turismo: nel 2023 il numero di turisti che hanno visitato il paese ha raggiunto un nuovo record di 14,9 milioni, superando i 14,7 milioni fatti registrare nel 2010. Nella prima metà del 2024, l’Egitto ha attirato la cifra record di 7,1 milioni di turisti. E i porti egiziani rappresentano un elemento di forte impatto.

Effetti a catena

Anche la Repubblica Democratica del Congo ha recentemente iniziato a lavorare sul suo principale porto per container in acque profonde, spinta dall’esigenza di restare al passo, nella convinzione che “merci uguale a geopolitica”. Perché il Congo è strategico anche in ottica degli interessi occidentali? Perché può rappresentare la risposta nel continente nero alla Via della Seta, grazie al Lobito Corridor, una ferrovia di 1.300 km che attraversa Zambia e Repubblica Democratica del Congo. Il progetto è statunitense e mira a recuperare terreno rispetto agli indirizzi cinesi in loco.

Il Lobito Corridor va da Tenke al porto angolano sulla costa atlantica, da lì potrebbe diramarsi anche verso lo Zambia e potrebbe potenzialmente estendersi fino all’Oceano Indiano, sulla linea Kapiri Mposhi-Dar es Salaam. L’interesse per le infrastrutture portuali africane non tocca solo Usa, Ue, Cina e Russia, ma si estende anche al golfo. Gli Emirati Arabi Uniti, ad esempio, stanno costruendo influenze nel Corno d’Africa, nel Sahel e anche nell’Africa occidentale, investendo in logistica e catene di fornitura. Di fatto sono adesso una potenza emergente nella regione.

La riforma dei porti italiani

In questo contesto va ad inserirsi la strategia italiana. Come osservato dal viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Edoardo Rixi, in occasione dell’Assemblea di Confitarma a Napoli, la riforma delle autorità portuali, da attuare entro il 2025, “mira a rendere i porti italiani più competitivi e interconnessi a livello globale”. C’è inoltre molta attenzione da parte di fondi di investimento internazionali.

L’obiettivo del governo “è creare una rete efficiente, capace di rafforzare la nostra posizione nel Mediterraneo e contribuire alla competitività del Paese in un contesto internazionale. Entro fine novembre, inoltre, concluderemo il Memorandum of Understanding con l’India per il corridoio Imec, un progetto strategico che faciliterà i flussi commerciali tra Asia, Medio Oriente, Europa e Africa, dando impulso alle nostre relazioni geopolitiche. La blue economy sarà centrale per una crescita sostenibile, non solo economica ma anche sociale. Rappresenta un’opportunità per sviluppare nuove professioni, favorire inclusione e sostenibilità, rendendo l’Italia protagonista nell’innovazione e nella tutela delle risorse marine”. Insomma, un nuovo modello per attirare i privati.

Le criticità e i risultati italiani

Il settore è interessato da una serie di contingenze, come la riduzione della flotta italiana (8% in un anno) e la transizione green: il comparto chiede che gli introiti derivanti dall’Ets, sia a livello europeo che di Stati membri, non siano orientati su ambiti diversi dalla decarbonizzazione o dal mare. Non vanno dimenticati i numeri: stando al commercio di beni a livello globale, la modalità di trasporto via mare resta quella più importante ed eco-compatibile, in virtù di 14mila miliardi di dollari che rappresentano l’80% degli scambi in volume (con il 2% di emissioni). Inoltre la flotta mercantile italiana interessa 65mila lavoratori e l’Italia si trova ai vertici del trasporto via mare di passeggeri. Altresì è al primo posto in Europa per merci movimentate in Short Sea Shipping ed ha la prima flotta di traghetti al mondo. In generale trasporti marittimi e logistica valgono circa il 12% del Pil mondiale.

Per cui, anche alla luce della crisi in Medio Oriente, le aree africane che si affacciano sul mare nostrum puntano a farsi players primari per gli scambi con l’Europa e l’Occidente e la concomitante attività legata al Piano Mattei può essere fattore positivo per l’Italia in questo senso.


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