L’ulteriore passo indietro del Tesoro nella banca più antica del mondo, per far posto, tra gli altri, a nuovi soci battenti bandiera tricolore, è positiva e importante al tempo stesso. Ora però bisogna guardare oltre e capire se Siena rimarrà sulle sue gambe o finirà in sposa. Conversazione con Angelo De Mattia, editorialista ed ex dirigente di Bankitalia
A 48 ore dal nuovo colpo di manovella del Tesoro sul Monte dei Paschi, è tempo di riflessioni. Premessa. La vendita di un altro 15% della banca più antica del mondo, segna un punto di svolta nella politica industriale del governo sul versante senese. Sì, perché se non altro la cessione della quota e annesso premio, orchestrata dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti in raccordo con Bankitalia e Bce, porta in dote un risvolto non banale: blindare uno degli asset più pregiati del sistema Italia, ricorrendo al mercato e a investitori italiani e fermando ipotetiche mire francesi su Rocca Salimbeni. Questa indubbiamente risanata dopo due anni di gestione di Luigi Lovaglio (Mps ha chiuso i primi nove mesi dell’anno con un utile di 1,57 miliardi di euro, in crescita del 68,6% rispetto allo stesso periodo del 2023).
Il Tesoro è a questo punto sceso dal 26,7 all’11,7%, incassando altri 1,1 miliardi. Banco Bpm e Anima si sono fatti spazio nell’istituto senese, portandosi nell’insieme al 9%. Al loro fianco, un duo di imprenditori italiani costruisce un presidio nazionale nel capitale della banca toscana: fra loro la cassaforte Delfin dei Del Vecchio e il gruppo Caltagirone, che hanno acquistato il 3,5% del Monte a testa, investendo nel complesso circa 500 milioni. Un nuovo assetto che, spiega a Formiche.net, Angelo De Mattia, editorialista e grande esperto di cose bancarie, è il risultato di una regia tutto sommato sapiente e apre la strada a due scenari.
“L’operazione messa in campo dal Tesoro mi pare tutto sommato positiva e importante. Il Mef rimarrà primo azionista, questo non è un elemento secondario. Ma certamente, questo nuovo riassetto nel capitale va letto in due direzioni”, premette De Mattia. “Da una parte possiamo immaginare una banca stand alone, con un azionariato importante ma indipendente, sulle proprie gambe, insomma. La seconda ipotesi è quella che vede il Monte dei Paschi attraversare l’attuale fase, anche grazie al risanamento in atto, per poi arrivare a un’aggregazione, verosimilmente con Banco Bpm”.
Secondo De Mattia, “questo secondo scenario non potrebbe non tenere conto dei due nuovi azionisti privati forti (Caltagirone e Delfin, ndr). Per questo, al netto dell’operazione appena conclusa, vanno ancora chiariti alcuni aspetti sul futuro di Mps e sul ruolo del Tesoro al suo interno. Giorgetti ha detto che questo riassetto è stato condotto senza fare rumore, con serietà e nel silenzio e questo va bene. Però poi, la riservatezza può coabitare con un’informazione più di carattere generale, se non altro opportuna. Detto questo, partendo dalla mia premessa e cioè che il mio giudizio su questa operazione è positivo, mi chiedo ora, quale il futuro di Siena? Da sola, con condizioni di stabilità? Oppure un’aggregazione? Su questo ora bisogna lavorare”.
De Mattia poi chiama in causa anche un’altra grande partita, destinata insieme a Mps, a riaccendere il risiko bancario, quella tra Unicredit e Commerzbank. “Il governo tedesco è primo azionista di Commerzbank, c’è un punto di congiunzione con Siena, dove il Tesoro è ancora il principale socio. Questo per dire che il futuro di Monte dei Paschi, così come quello di Commerzbank, passerà proprio per le decisioni prese dai rispettivi governi”. E sempre sulle attenzioni di Unicredit verso la banca tedesca, De Mattia si chiede: “Se Unicredit guarda al centro e forse al nord dell’Europa seguendo un percorso da tempo avviato, ci si potrà pur chiedere chi penserà al Mezzogiorno anche tra i grandi istituti? Chi vorrà scegliere un terreno di competizione proprio nel Sud di pari passo con gli sviluppi della politica economica e con il rilancio, finalmente, della politica industriale?”.