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Come sarà la politica di sicurezza e di difesa del nuovo presidente Usa. L’analisi del gen. Jean

La capacità di difesa e di deterrenza degli Usa su scala globale è diminuita. Sono in corso due conflitti – quelli in Ucraina e in Medio Oriente – di cui non è facile prevedere gli sviluppi. Altri potrebbero scoppiare in particolare per Taiwan e nell’Estremo Oriente. Il secondo mandato di Trump inizia con una situazione più complessa del primo. Tutte le sfide aperte raccontate dal generale Carlo Jean

Al secondo mandato presidenziale Donald Trump si trova a confrontarsi con una situazione ben più complessa, imprevedibile e pericolosa di quella che dovette affrontare nel 2017. La capacità di difesa e di deterrenza degli Usa su scala globale è diminuita. Sono in corso due conflitti – quelli in Ucraina e in Medio Oriente – di cui non è facile prevedere gli sviluppi. Altri potrebbero scoppiare in particolare per Taiwan e nell’Estremo Oriente. Gli alleati sia europei che asiatici degli Usa non sono in grado di provvedere in proprio alla loro “sicurezza”. Continuano a dipendere dagli Usa, nei quali però non esiste più il consenso bipartisan esistente durante la Guerra fredda circa la dissuasione estesa e la difesa collettiva.
La situazione nei riguardi delle future scelte Usa è resa poi più imprevedibile da due fattori. Primo: dal carattere di Trump, portato più al pragmatismo, se non all’improvvisazione e, quindi, alieno a “dottrine” generali; in altre parole, portato più alla tattica che alla strategia, e riluttante a seguire i suggerimenti degli esperti sia militari che diplomatici. Secondo: la convinzione del presidente sull’importanza dello sfruttamento della propria imprevedibilità, e quindi dei metodi previsti dalla teoria del “Chicken Game” (detta anche “strategia del folle”) per disorientare o spaventare l’avversario, quindi per rafforzare la dissuasione. Tale risultato non era possibile alla cauta strategia di Biden, che si auto-poneva come limite ad esempio del supporto all’Ucraina quello di evitare l’escalation con Mosca. Era una strategia destinata a porre l’Ucraina in condizioni di resistere, ma non di imporre alla Russia perdite tali da indurla a sospendere l’aggressione. Un terzo motivo dell’imprevedibilità delle scelte Usa deriva dall’esclusione fatta da Trump di militari dai vertici del Pentagono, con conseguenti dissidi interni che rischiano di paralizzarlo.

In attesa della National Security Strategy

Nel corso della campagna elettorale Trump ha parlato poco di politica estera, e solo genericamente accennato a quella di sicurezza e di difesa. In particolare, ha sostenuto di voler porre rapidamente fine ai conflitti in corso ed evitarne lo scoppio di nuovi, senza precisare come, eccetto di voler trattare da posizioni di forza. Ha anche affermato la sua volontà di rafforzare la potenza militare degli Usa per metterli in condizioni di possedere una capacità di deterrenza e di difesa in grado di fronteggiare il “Quartetto del Caos” (Cina, Russia, Iran e Corea del Nord). Non ha smentito di aver telefonato a Putin chiedendogli di non cercare di migliorare le sue posizioni in Ucraina. Non si sa se, nel suo colloquio con Biden, abbia parlato dell’autorizzazione data da quest’ultimo a Kyiv di impiegare le armi a lunga gittata Usa verso Kursk. Ha lasciato il figlio a smentirla.

Per saperne di più su quanto intenda fare – a parte la “bonifica” del Pentagono cacciando i suoi oppositori – occorrerà attendere la pubblicazione della National Security Strategy del Presidente e, più nel dettaglio, dei documenti del Pentagono (Strategic Defense Review, Nuclear Posture Review) e le direttive a essi complementari, come quelle relative alla base industriale della difesa, allo spazio, al cyberspazio ecc.

Sono documenti che quasi sempre vengono aggiornati nel corso dei quattro anni di ogni presidenza. Di solito, essi si limitano a confermare i precedenti concetti strategici, aggiornandoli all’evoluzione geopolitica e tecnologica. Un’eccezione al riguardo è rappresentata dalla modifica dello scorso marzo della strategia d’impiego delle armi nucleari, contenuta in una direttiva presidenziale segreta, che tiene conto della rapida espansione della potenza nucleare cinese. In essa, si afferma che gli Usa devono tenersi in condizione di dissuadere contemporaneamente Russia e Cina. Di sicuro, la direttiva prevede anche la riattivazione di una parte almeno delle circa 4.000 testate nucleari tenute in riserva da parte degli Usa.

L’impatto delle nuove tecnologie sulle FF.AA.

Le nuove tecnologie – specie, ma non solo, della robotica a dell’intelligenza artificiale (AI) – stanno modificando le caratteristiche dei futuri conflitti. La “guerra dei drones” e quella nel cyberspazio, si sovrappone alle operazioni aeroterrestri. Indipendentemente dalle sue scelte geopolitiche, Trump ne dovrà tener conto.

Le nuove tecnologie favoriscono la difesa sull’attacco e l’attrito sulla manovra. Diminuiscono l’importanza delle dimensioni degli Stati (ad esempio Taiwan sta acquisendo sistemi robotici ispirati all’iniziativa Replicator del Pentagono per incentrare su sistemi robotizzati l’interdizione dello Stretto di Taiwan).

Le guerre sono divenute sempre più sanguinose e lunghe. La massa, cioè la quantità delle forze ha ripreso gran parte dell’importanza che aveva nel passato e che era stata erosa dalla precisione e dalla mobilità dalla RMA (Revolution in Military Affairs) degli anni Sessanta del Novecento. Le fortificazioni campali, i campi minati e il combattimento in aree urbanizzate hanno accresciuto la loro importanza. Aumenta il consumo di munizioni, quindi l’importanza delle scorte e della mobilitazione industriale. Il combattimento terrestre a distanza (artiglierie, drones, missili, ecc.) sta divenendo più importante di quello di contatto.

La massa delle forze che – con la RMA – sembrava aver perso importanza rispetto alla precisione di armi sempre più sofisticate e costose (talché si parlava di rischio di “disarmo strutturale” per l’aumento dei costi unitari dei sistemi d’arma) – ha riacquistato tutta l’importanza che aveva nel passato. Il costo delle FF.AA. sta divenendo insostenibile. Nel confronto strategico sta divenendo determinante il costo dei nuovi armamenti. I drones sembrano offrire una soluzione al problema di rendere compatibili massa e precisione da un lato; capacità di rapida mobilitazione industriale e sofisticazione degli armamenti, dall’altro. La maggiore possibilità di ricorso ad una rapida mobilitazione industriale, consente di ovviare all’impossibilità di immobilizzare enormi capitali nelle scorte con il rischio che divengano obsolete.

In Ucraina e in Medio Oriente i conflitti hanno assunto gran parte di tali nuove caratteristiche. Sono diventati “guerre fra drones e anti-drones”. Il problema principale dei ricercatori militari è quello di mettere a punto sistemi di difesa dai drones poco costosi. L’attuale rapporto di costo fra i due si aggira ad un inaccettabile 1 a 50.

La durata dei conflitti, unitamente alla rapidità dell’evoluzione tecnologica, impone alle FF.AA. di possedere un’elevata capacità di adattamento. L’organizzazione di un’adeguata mobilitazione industriale è divenuta essenziale. Ma è molto difficile, soprattutto nei Paesi in cui la proprietà delle industrie d’armamenti è privata. Indispensabile è comunque l’aumento della rapidità della contrattualistica e della riduzione del ciclo “ricerca-produzione”. Il nuovo presidente degli Usa dovrà affrontare difficili problemi, che richiederanno un significativo aumento dei bilanci della difesa. Per ripristinare la superiorità Usa nella deterrenza, sarà rilevante l’imprevedibilità del nuovo presidente. La prudenza usata da Biden l’aveva erosa. Ad esempio, nel caso dell’Ucraina, egli è stato sempre più preoccupato di quanto Putin potesse fare, invece di porlo in condizioni di preoccuparsi di che cosa potessero fare i sostenitori di Kyiv. Ha insomma lasciato la decisione nelle mani del Cremlino.

Cenni sulla possibile ristrutturazione delle forze Usa: la priorità della Marina

Per quanto riguarda la struttura e la dottrina operativa delle forze convenzionali, si possono fare solo supposizioni, basate su affermazioni di tecnici, quale quelle contenute nel saggio “America Isn’t Ready for the War of the Future”, scritto per Foreign Affairs da Mark Willey – ex-capo del JCS – e da Eric Schmidt, già ad di Google, ai quali si rimanda.

Tre settori aumenteranno ancora la loro importanza. Il primo, a cui si è già accennato, riguarda le armi nucleari sia strategiche che tattiche e le difese antimissili, volto a mantenere la superiorità Usa anche malgrado il gigantesco riarmo nucleare cinese (che da 400 passerà a 1.500 testate strategiche entro il 2035). Il secondo, consiste nel programma “Replicator”. Si tratta di un’enorme iniziativa di ricerca e sviluppo volta a creare le premesse per la produzione di molte migliaia di “sistemi autonomi terrestri, navali ed aerei”, anche iperveloci che il Pentagono intende procurarsi in vista di un conflitto con la Cina.

Il terzo settore riguarda il potenziamento delle forze navali. Particolare preoccupazione era stata espressa da entrambi i candidati per il fatto che il numero di navi d’altura cinesi è superiore rispetto a quello delle navi americane e che la differenza non è compensata dalla maggiore qualità di queste ultime. Inoltre, Trump attribuisce, rispetto a Biden, maggiore importanza al “Pivot to Asia” e all’Indo-Pacifico, quindi alla Marina, ridottasi a meno di 300 navi rispetto alle quasi 600 del 1991 (per il 2032 ne sono previste 355). La loro costruzione trova difficoltà non solo finanziarie, ma anche nella trascuratezza riservata alla cantieristica militare dopo la fine della Guerra fredda.


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