“Dovremmo stare attenti ai demagoghi pronti a dichiarare una guerra commerciale contro i nostri amici , indebolendo la nostra economia, la nostra sicurezza nazionale e l’intero mondo libero, il tutto mentre sventolano cinicamente la bandiera americana”. Ci si chiede se il monito dell’allora presidente repubblicano valga ancora oggi
Nel 1988, l’allora presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan la mise così: “Dovremmo stare attenti ai demagoghi pronti a dichiarare una guerra commerciale contro i nostri amici, indebolendo la nostra economia, la nostra sicurezza nazionale e l’intero mondo libero, il tutto mentre sventolano cinicamente la bandiera americana”. Un monito che sa di profezia, qualora Donald Trump (ri)vincesse le elezioni presidenziali. Una profezia che la dice lunga sulla palingenesi del grande, vecchio Partito Repubblicano, inopinatamente passato dal liberismo reaganiano all’iperprotezionismo trumpiano, che in altri tempi si sarebbe detto tipico di un caudillo sudamericano.
Ma i tempi sono cambiati e con i tempi sta cambiando anche il volto dell’America. Le curve demografiche vaticinano la fine della prevalenza Wasp, gli americani bianchi, anglosassoni e protestanti; la degenerazione del politicamente corretto nell’ideologia Wok che tanto piace alle élite liberal dei grandi centri urbani fa inorridire l’America rurale e profonda; la proletarizzazione del ceto medio a seguito della crisi economica iniziata nel 2008 ha prodotto rabbia e frustrazione, determinando la conseguente polarizzazione dell’offerta politica. Un’offerta sempre più radicale. Sempre più demagogica.
Sono questi gli elementi di forza di Donald Trump, evidentemente percepito dalla metà degli elettori statunitensi come l’unico in grado di proteggerli. Una protezione identitaria cui si somma una protezione economica. Ma le politiche protezioniste che, in caso di vittoria, Donald Trump porrebbe in essere avrebbero un duro impatto sulle già traballanti economie degli Stati europei. Trump ha infatti annunciato come prioritario il riequilibrio della bilancia commerciale con l’Europa, per circa 200 miliardi di dollari favorevole all’Unione. Se lo farà, vorrà dire che gli Stati europei perderanno complessivamente 200 miliardi di export. A farne le spese sarebbero soprattutto l’industria automobilistica tedesca, e dunque i fornitori italiani della filiera. Ma un duro colpo si abbatterebbe anche sull’agroalimentare nostrano.
Dando per scontato che, deboli come sono, i capi di Stato e di governo europei continueranno ad ignorare il piano per la competitività elaborato da Mario Draghi, si paventerebbe, dunque, uno scenario allarmante: un’Europa economicamente stagnante come un vaso di coccio stretto tra i vasi ferrei statunitense e cinese.
Ce n’è abbastanza per rimpiangere la saggezza, e l’approccio liberale, del vecchio Ronald Reagan…