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Il secolo nomade, la guida di Vince per sopravvivere al disastro climatico

Il libro della scienziata inglese racconta come il cambiamento climatico porterà a migrazioni di massa. Le persone saranno costrette a lasciare le loro case a causa di disastri ambientali, ma queste migrazioni potrebbero anche ridurre le disuguaglianze, se gestite con cooperazione internazionale e pianificazione globale. La recensione di Saturno Illomei

Mentre alla Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti climatici (COP29), appena terminata a Baku, in Azerbaigian, le posizioni divergenti tra i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo sono state al centro delle trattative sul documento finale che non accontenta nessuno, perché considerato dai diversi gruppi troppo poco ambizioso dal punto di vista delle politiche per la mitigazione o degli obiettivi di finanza climatica, “un grande sconvolgimento è in arrivo e trasformerà tutti noi e il nostro Pianeta”.

Così l’incipit dell’ultimo lavoro della scienziata inglese Gaia Vince, “Il secolo nomade”, pubblicato in Italia da Bollati Boringhieri. Che prosegue: ”Nel Sud del mondo i cambiamenti climatici estremi spingeranno un gran numero di persone ad abbandonare le proprie case, con vaste regioni che diventeranno inabitabili; nel Nord del pianeta, dove il clima è più confortevole, le economie faticheranno a sopravvivere ai cambiamenti demografici, con una forte carenza di forza lavoro e una popolazione anziana impoverita. Nei prossimi cinquant’anni, temperature più elevate faranno sì che vaste aree del pianeta saranno inabitabili per 3 miliardi e mezzo di essere umani”.  Tutto questo provocherà una fuga di massa dalle zone colpite dalla siccità e dalle alluvioni e tutti noi “o saremo tra di loro o tra coloro che li dovranno accogliere”.

L’Organizzazione internazionale per le migrazioni delle Nazioni Unite stima che nei prossimi trent’anni potrebbero esserci fino a un miliardo e mezzo di migranti climatici. Cifra destinata a salire dopo il 2050 a causa dell’ulteriore riscaldamento del pianeta e l’aumento della popolazione mondiale. “Nei prossimi decenni ci troveremo ad affrontare molteplici crisi, tra cui il calore estremo e gli incendi, le inondazioni e l’innalzamento del livello dei mari, le condizioni meteorologiche estreme e i cambiamenti demografici della nostra popolazione”.

Tutti i sondaggi mostrano che la maggior parte delle persone è convinta che stiamo vivendo una vera e propria “emergenza climatica” che potrebbe provocare “un  vero e proprio collasso sociale globale”.  Per quanto ne sappiamo, ricorda l’autrice, l’impatto di un meteorite, sessantasei milioni di anni fa, ha provocato un cambiamento climatico globale più rapido di quello attuale che causò l’estinzione dei dinosauri, rilasciando “circa 600-1000 gigatonnellate di anidrite carbonica”.  “Ora siamo noi l’asteroide che ha impiegato solamente vent’anni per rilasciare 600 gigatonnellate di anidrite carbonica”.

Il cambiamento climatico diventa un “moltiplicatore di minacce” che porterà ad un aggravio dei problemi sociali, alimentari ed economici. Incendi, calore estremo, siccità e inondazioni, “i quattro cavalieri dell’Antropocene”, trasformeranno il pianeta nel corso dei prossimi decenni, rendendo invivibili per gli esseri umani una parte significativa del mondo.

La popolazione mondiale continuerà ad aumentare, raggiungendo, probabilmente, i dieci miliardi nella seconda metà del secolo. Una crescita che avverrà soprattutto nelle zone tropicali, che sono le più colpite dalle catastrofi climatiche, mentre il Nord del mondo dovrà affrontare il problema opposto: una crisi demografica in cui una popolazione anziana molto numerosa sarà sostenuta da una forza lavoro troppo ridotta. “In Nord America e in Europa ci sono trecento milioni di persone al di sopra della tradizionale età pensionabile (oltre i 65 anni), e si prevede che per il 2050 l’indice di dipendenza economica della terza età sarà di quarantatrè persone anziane ogni cento persone attive”. La popolazione europea non sta solo invecchiando, ma è destinata a ridursi del 10 per cento entro il 2050. Questa contrazione demografica avrà come risultato che l’Unione Europea avrà bisogno di 80 milioni di lavoratori in più per mantenere gli attuali standard di vita e i sistemi di sostegno sociale.

E’ chiaro a tutti che il secolo che stiamo vivendo vedrà cambiamenti epocali. Le alterazioni ambientali provocheranno anche perturbazioni sociopolitiche ed economiche. Nessun luogo sarà immune dal cambiamento climatico ed entro il 2100 il nostro sarà un pianeta diverso. Le persone dovranno allontanarsi dall’equatore, dalle coste, dalle piccole isole e dalle regioni aride o desertiche. Le popolazioni si sposteranno verso l’interno, verso le alture, i laghi e le latitudini settentrionali. Ci si dovrà adattare ad un  pianeta cambiato e a una demografia in rapida evoluzione. La migrazione sarà una componente importante di questo cambiamento e dovrà essere pianificata e gestita. D’altra parte, già oggi, la maggior parte delle nazioni europee fa affidamento a decine di migliaia di lavoratori migranti per le raccolte di frutta e ortaggi.

I cambiamenti climatici in atto modificheranno la geografia economica globale. La maggior parte dei movimenti migratori avviane per motivi di lavoro e la maggior parte dei migranti sono adulti in età lavorativa. L’Unione Europea è una delle mete preferite. Eppure, solo una piccola parte della popolazione europea è costituita da migranti. “Quando gli europei parlano di ondate di migranti africani che inondano le nostre coste, vale la pena notare che solo il 2,3% degli africani vive all’estero e meno della metà di questi fuori dal continente”.

In questo secolo la migrazione avverrà prevalentemente verso le città, con conseguenze non solo sulla sostenibilità socioeconomica, ma anche ambientale. Anche perché le città sono particolarmente vulnerabili agli impatti del cambiamento del clima e subiscono più intensamente gli effetti del caldo, dell’innalzamento del livello dei mari e delle condizioni meteorologiche estreme. Già oggi le temperature urbane sono di 1-2 gradi più alte rispetto a quelle delle aree circostanti. Secondo un rapporto di una società inglese sui rischi globali, più di quattrocento grandi città, con una popolazione totale di un miliardo e mezzo di abitanti, sono a rischio “elevato” o “estremo” per l’inquinamento, la riduzione delle riserve idriche, le ondate di calore, i disastri naturali e l’emergenza climatica.

Una delle maggiori sfide della migrazione di massa sarà garantire il cibo per tutti. Le Nazioni Unite calcolano che nel 2050 dovremmo produrre fino all’80% di alimenti in più per sfamare ulteriori due miliardi di persone. Ma, per il cambiamento climatico e il degrado ambientale dei suoli, molti dei luoghi in cui oggi si pratica l’agricoltura non saranno più disponibili. “Dobbiamo rendere il processo di alimentazione più efficiente e meno distruttivo per l’ambiente e produrre il nostro cibo nei luoghi più idonei di un pianeta più caldo e con una disponibilità di acqua sempre più scarsa”. Secondo analisi recenti, un terzo della produzione alimentare mondiale è minacciato dal cambiamento climatico: con un aumento della temperatura di due gradi, 180 milioni di persone in più soffriranno la fame.

Che fare dunque? Secondo la scienziata inglese “le migrazioni sono inevitabili, spesso necessarie, e dovrebbero essere agevolate”. In ogni caso, dobbiamo ridurre l’aumento della temperatura globale e vedere in positivo queste migrazioni: “le persone che si spostano in città, nazioni e continenti diversi arricchiscono se stesse e le società in cui vanno a vivere”. Le migrazioni di massa di questo secolo saranno costituite soprattutto da persone che dal mondo povero e danneggiato dal clima si sposteranno verso il mondo più ricco: si tratta anche di “un’opportunità di ristabilire un po’ di giustizia sociale, consentendo che godano di una nuova crescita economica sia le popolazioni migranti che quelle ospitanti”.

Il cambiamento climatico provoca il cambiamento di tutta la nostra esistenza, perché il clima è alla base delle nostre vite e del nostro sostentamento. Determina il modo e il dove si può vivere, le stagioni e le coltivazioni, i territori, i litorali e i paesaggi, le correnti marine e le piogge. E siamo ancora in tempo e in grado di costruire resilienza nei nostri sistemi sociali, e negli ecosistemi, per resistere a questi grandi fenomeni e ai loro disastri. Ma ”dobbiamo essere padroni del nostro futuro, fare un piano per salvaguardare il benessere di tutti gli esseri umani, ricchi e poveri, di ogni continente”.

La conclusione è orientata all’ottimismo. Anche se “le persone migreranno a milioni”, esiste la possibilità concreta di gestire questo movimento planetario. “Potrebbe essere una transizione pianificata, organizzata e pacifica verso un mondo più sicuro e più giusto. Con la cooperazione e la regolamentazione internazionale, potremmo e dovremmo rendere la Terra vivibile”.



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