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Rutte-Meloni. Il ruolo dell’Italia dopo il conflitto in Ucraina secondo Cangelosi

“Il rapporto fra Meloni e Rutte è buono e credo che la posizione che il premier ha preso sui dossier principali sia molto netta e decisamente pro Ucraina, però l’Italia, assieme ad altri Paesi, dovrebbe pensare al dopo, cioè a come mettere fine a questo conflitto”. Conversazione con l’ambasciatore Rocco Cangelosi, già rappresentante permanente per l’Italia a Bruxelles e consigliere diplomatico del presidente Giorgio Napolitano

“Con Trump potranno esserci dei profondi cambiamenti all’interno della Nato, ma un fattore positivo c’è: tutto ciò potrebbe stimolare l’Europa ad accelerare il processo per una difesa comune”. Così alla vigilia della visita a Palazzo Chigi del segretario generale della Nato, l’ambasciatore Rocco Cangelosi, già rappresentante permanente per l’Italia a Bruxelles e consigliere diplomatico del presidente Giorgio Napolitano, secondo cui l’Italia potrebbe giocare un ruolo primario sui tavoli diplomatici legati al dopo conflitti.

Domani Giorgia Meloni riceverà a Palazzo Chigi Mark Rutte, in un momento complicatissimo sia per le due guerre in corso ai “confini dell’Europa”, sia per le nuove sfide che attendono l’alleanza atlantica. Quale secondo lei un primo punto analitico con i temi e con le posizioni che verranno discusse?

Il primo punto analitico credo che sia la prospettiva del risultato delle elezioni americane perché, evidentemente, influenzeranno molto il rapporto nel quadro dell’Alleanza atlantica tra i vari Paesi e gli Stati Uniti. In secondo luogo la situazione in Ucraina dove, secondo quello che leggiamo, l’offensiva russa sta andando avanti sia nel Donbass sia nella regione di Kursk. Lì pare siano presenti truppe nord coreane. Chiaramente Putin sta cercando di fare il massimo sforzo in questo momento, sia per motivi legati alla meteorologia, sia perché in prospettiva di un ritorno di Trump alla Casa Bianca pensa, e forse con ragione, che Trump si adopererà per un cessate il fuoco e per un congelamento del conflitto. Quindi, quanto più terreno conquista, tanto più sarà a suo vantaggio un eventuale congelamento del conflitto.

L’Ucraina quindi come tema supera Gaza?

L’Ucraina diventa un punto estremamente delicato e vediamo un Zelensky disperato in questo momento, perché si rende conto che la tenuta delle sue truppe per vari motivi è sempre inferiore, per cui chiede aiuto agli alleati. Sappiamo bene quali sarebbero le conseguenze di una eventuale “sconfitta” tra virgolette dell’Occidente in Ucraina e quindi credo che su questo punto la riflessione tra Meloni e Rutte sarà molto approfondita e delle decisioni certamente andranno prese. Il superamento delle note linee rosse chieste da Zelensky rappresenterà un altro argomento di riflessione: ovvero fino a che punto si possono utilizzare le armi Nato a lunga gittata sul territorio russo senza provocare una ulteriore escalation.

In Medio Oriente non c’è un coinvolgimento diretto nella Nato: dunque?

Non dico che sia marginale ma non c’e un coinvolgimento diretto della Nato in Medio Oriente. Certamente quello che succede lì riguarda l’Europa e riguarda quindi anche la Nato. In Medio Oriente abbiamo una situazione di guerra continua e l’attuale Governo israeliano di Netanyahu ha come obiettivo quello di realizzare la sicurezza attraverso azioni militari ed è in guerra su molteplici fronti: quello siriano, quello libanese, quello con gli Houthi, quello in Iraq e poi naturalmente quello con l’Iran che resta il punto fondamentale di tutta la contesa. In questo frangente il ruolo dell’Europa non si esercita attraverso l’Unione europea, perché la nuova Commissione non è ancora formata, ma questa non dovrebbe essere una scusa sia perché la politica estera comune non esiste, sia perché effettivamente la Nato può anche dire la sua a questo riguardo. Per cui bisognerebbe spingere, come si è fatto per moltissimi anni, per una sicurezza di Israele che si realizzi attraverso accordi di pace e non attraverso azioni militari. La via degli accordi di Abramo era una giusta strada, ma doveva essere accompagnata anche dal vecchio mantra dei “due popoli e due stati”, cosa che purtroppo è sempre più lontana. Senza dimenticare la Cisgiordania dove si constata una vera e propria occupazione militare da parte dei coloni sostenuti dall’Idf.

Le spese militari della Nato sono un tema connesso alle elezioni Usa?

Sì, legato a chi sarà il nuovo presidente americano e quanto verrà stimolata l’Europa a pagare maggiormente le spese militari: ciò avrà un immediato risvolto sulle finanze di alcuni Stati membri come quelli che hanno meno spazio finanziario, quindi l’Italia. Se gli Stati Uniti decideranno di trattenere le proprie truppe più verso il quadrante cinese e meno verso il Vecchio continente? Senza dubbio è un tema di riflessione: la maggiore attenzione americana è rivolta al quadrante pacifico perché può diventare una zona di attrito, un passaggio che è ormai assodato. Con Trump potranno esserci dei profondi cambiamenti all’interno della Nato, ma un fattore positivo c’è: tutto ciò potrebbe stimolare l’Europa ad accelerare il processo per una difesa comune.

Quale la posizione e il ruolo dell’Italia nei dossier chiave?

Il rapporto fra Meloni e Rutte è buono e io credo che la posizione che il premier ha preso sui dossier principali sia molto netta e decisamente pro Ucraina, però credo che l’Italia assieme ad altri Paesi dovrebbe pensare al dopo, cioè a come mettere fine a questo conflitto. È chiaro che ci sono due strade da seguire: o un maggiore coinvolgimento della Nato, che può avere tutte le difficoltà e i rischi di cui abbiamo sempre parlato, oppure la ricerca di una strada per far tacere le armi. Su questo effettivamente l’Italia potrebbe giocare un ruolo primario, tenuto conto anche che una larga fetta della sua opinione pubblica chiede da tempo la fine di questa guerra.


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