Nell’ultima tornata elettorale ha vinto il Pd. In particolare la sua segretaria. Per questo il risultato di Emilia Romagna e Umbria va oltre i confini regionali. E individua alcune tendenze nazionali che i partiti devono tener conto. La Schlein si è fatta leader. La più estranea al Pd per formazione politica è riuscita a dare un corpo e un’anima a un moloch dormiente. L’opinione di Maurizio Guandalini
“Una brava donna, di buoni principi. Ce la mette tutta. Ma non è un leader che trascina il popolo. Non la vedo a capo di un governo di sinistra2. Così parlò l’ingegner Carlo De Benedetti in un’intervista rilasciata al Corriere. La Schlein dalle europee alle regionali, contro ogni pronostico, ha superato prove importanti per ambire alla premiership. Antitesi diretta alla Meloni che è il prototipo del capopopolo, urla, strabuzza gli occhi fulminando, si agita. È la cazzimma (furbizia opportunistica trad. Accademia della Crusca) della Garbatella che molti osservatori sono concordi nell’osservare i primi segni di cedimento. Dalla Liguria fino all’Umbria Fratelli d’Italia ha dimezzato i voti. Pur rimanendo elezioni regionali c’è sicuramente una valutazione sul lavoro del governo, sui partiti della coalizione e sulla premier.
Schlein ha rinsavito il Pd. Gli sta dando un corpo e un’anima. Timida, quasi fuori posto, un atteggiamento da precaria, via via ha conquistato quello che era divenuto un pachiderma dalle grandi potenzialità ma spento. Lei ha preso potere dentro il partito e ha fatto di testa sua. In uno slalom non facile tra undici, dodici correnti “certificate”. Ha spostato l’asse a sinistra, ha insistito sui valori della militanza. E della coalizione, senza mai polemizzare. I risultati sono di un Pd al 40% in Emilia Romagna e in Umbria, sul 30% in Liguria, in crescita ovunque. Ha rimotivato gli elettori. Ha compreso che il valore aggiunto del Pd è la classe dirigente. Che c’è in abbondanza. Quando è possibile si tratta di spingere sempre più sui professionisti della politica. Proprio la Schlein che insiste nel dire che al Nazareno è solo di passaggio perché la sua grande aspirazione è fare la regista. Lasci perdere, Schlein, non ha più bisogno di mettere le mani avanti in caso di suo fallimento da leader. I malintenzionati dentro il partito che miravano a un cambio imminente di leadership si stanno rassegnando. Per ora.
C’è uno squilibrio marcato dentro la coalizione. L’abbiamo già scritto su Formiche.net, Schlein si rilegga, per eventuali soluzioni, una riga del discorso di Walter Veltroni che tenne al Lingotto il 27 giugno del 2007: “Il Pd deve avere un’ambizione non autosufficiente ma maggioritaria”. Il destino del Pd è questo. Soprattutto se i ‘piddini’ andati con i 5 Stelle del primo Grillo di sfondamento ora stanno via via ritornando alla casa del padre. Perché la ragione sociale scelta è quella giusta. Si tratta ora di plasmarla e renderla convincente per governare il Paese. Qui sta la parte complicata. Soprattutto se i 5 Stelle si riducono a cifre marginali (in vista di probabili scissioni) e di conseguenza non staranno fermi a portare acqua alla Schlein. C’è poi l’emisfero cosiddetto centrista (che è già dentro il Pd, Bonaccini, De Pascale il neo presidente dell’Emilia Romagna, l’ex sindaco di Bari De Caro, Gori ecc.) di cui si comprende l’esigenza perché agli effetti dello score fa la differenza anche l’1% in più. C’è da lavorare ma è lo stesso Pd che ha le risorse per farlo. Sforzo arduo quando c’è da coniugare da qui alle politiche con la rivolta sociale di Landini, perché a lui guarda la Schlein.
Il segretario della Cgil, usando una espressione ‘un po’ così’, ha il merito di aver compreso il default del Paese. Rassegnazione, stanchezza, disorientamento degli italiani, non solo di pensionati, precari e operai, ma anche del ceto cosiddetto medio in sofferenza da anni di fronte a un evidente calo del cash, del potere d’acquisto. Si tratta di capire come fare questa rivolta sociale. L’azione cosa prevede in concreto? Perché risvegliare le coscienze non è un picchetto o una raccolta di firme e via. Si è persa l’abitudine di ascoltare le persone. Quello che si diceva una volta della politica, la capacità di porre e cogliere dei rapporti (per esempio il caso De Luca in Campania la Schlein poteva risolverlo con modalità diverse, senza creare un conflitto interno al partito, come ho già scritto). E qui entra il lavoro che Schlein deve continuare a fare nel Pd (lo stesso deve fare Meloni in Fratelli d’Italia). Formando una classe dirigente che definisco di missionari della politica, con le sezioni aperte per accogliere la gente che sa, una volta recatesi in quel luogo, che qualcuno l’ascolterà, dandosi da fare per risolvere i problemi. Un lavoro che vale ancor più dove il Pd governa perché in alcuni casi la classe dirigente di partito si trasforma in difensore ad oltranza degli amministratori, i problemi non esistono e chi si lamenta sono degli scocciatori di mestiere.
Ho delineato il solo modo, vecchio di chissà quanto per nutrire il consenso, scacciare l’astensionismo dilagante e mirare al governo del Paese. Lo racchiudo solitamente nell’adagio zavattiniano, “voltarsi indietro per andare avanti quando il pane era polenta”, coniato nelle terre padane del duro lavoro e del cervello fino. È un modo di comportarsi che è stato dettagliato bene dal neo presidente dell’Emilia Romagna (Cerasa, su Il Foglio vede già De Pascale, riformista e centrista, probabile sostituto della Schlein) nel discorso di ringraziamento dopo l’esito del voto. Da subito risolvere i travagli di quelle persone toccate da tre alluvioni in un anno che vivono senza un domani. Qui sta la marcatura del segno di quanto non ha fatto il governo. Di come su eventi così catastrofici ci ha tirato sopra un modo di fare, burocratico, che da un lato ha svelato l’incapacità dell’esecutivo e dall’altro lasciati soli, isolati, nella loro disperazione migliaia di persone.