Domani Mantovano e Bernini presentano la ricetta del governo per tutelare l’università e la ricerca dalle ingerenze straniere. In particolare quelle della Cina che, come avvertiva l’intelligence pochi mesi fa, puntano a insinuarsi tramite finanziamenti “più o meno mediati”
Domani a Palazzo Chigi verrà presentato il piano d’azione nazionale per tutelare l’università e la ricerca italiane dalle ingerenze straniere. Parteciperanno: Anna Maria Bernini, ministra dell’Università e della ricerca; il sottosegretario Alfredo Mantovano, Autorità delegata per la sicurezza della Repubblica; Giovanna Iannantuoni, presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane, e Antonio Zoccoli, presidente della Consulta nazionale dei presidenti degli enti di ricerca. È il prodotto delle raccomandazioni del Consiglio Competitività (Spazio, ricerca e innovazione) dello scorso maggio.
Il documento, che dovrebbe prevedere un maggiore scambio di informazioni tra l’intelligence e le università per far fronte ai rischi per il settore, verrà presentato a distanza di poche ore dall’atterraggio a Pechino da Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, atteso dal leader Xi Jinping per celebrare il partenariato strategico globale rilanciato dopo la decisione italiana di non rinnovare il memorandum d’intesa sulla Belt and Road Initiative, la cosiddetta Via della Seta, sottoscritto nel 2019 dal governo gialloverde presieduto da Giuseppe Conte.
E sarà proprio la Cina l’osservato speciale del piano per la sicurezza della ricerca preparato dal governo Meloni. La Cina, infatti, ha “finalità di acquisire un patrimonio informativo e li porta a rivolgersi anche a circuiti universitari”, aveva spiegato a febbraio il prefetto Mario Parente, allora direttore dell’Aisi (ad aprile è andato in pensione cedendo la direzione al prefetto Bruno Valensise), presentando la relazione annuale dell’intelligence. “Le università possono essere infiltrate, anche attraverso finanziamenti più o meno mediati”, aveva detto ancora assicurando che da parte dell’intelligence c’è “un’attenzione molto forte”.
Qualche numero. In Italia sono 16 gli Istituti Confucio ma “manca un dibattito sulla loro presenza o sui rischi che potrebbero comportare”, come ha evidenziato il centro studi tedesco Merics. Non ci sono linee guida “per le università su come gestire le partnership con le università cinesi”, hanno aggiunto gli stessi esperti. Secondo un altro recente rapporto del Merics, tra il 2013 e il 2022 le co-pubblicazioni tra la Cina e l’Italia sono aumentate del 258 per cento. Secondo la società di consulenza Datenna, il nostro Paese è tra quelli con il maggior numero di collaborazioni con i “Sette figli della difesa nazionale”, ovvero le altrettante università finanziate dal governo cinese per contribuire allo sviluppo delle forze armate.
Cina, ma non solo. Anche Russia, con i tentativi di infiltrare le università e influenzare il dibattito, e Iran, che punta alle competenze italiane.