Skip to main content

Addio Sahel? Ecco cosa c’è dietro la ritirata della Wagner

Tra massacri subiti e riorganizzazioni strategiche la presenza del gruppo Wagner in Sahel si ridimensiona. Suscitando domande sulla capacità di proiezione russa nell’area

La fu Wagner avrebbe avviato una parziale ritirata dal Sahel, come effetto del combinato disposto del massacro di combattenti Wagner avvenuto il 28 luglio nella regione settentrionale del Mali e dell’offensiva ucraina nell’oblast di Kursk messa in atto a distanza di una settimana. Questi eventi avrebbero messo a dura prova la struttura e le operazioni della compagnia militare privata Wagner (ora ribattezzata “Africa Corps” e posta sotto il controllo del ministero della Difesa russo) nel continente africano. Ad avanzare questa tesi è Jacob Zenn, adjunct assistant professor di Movimenti armati africani e Attori violenti non statali nella politica mondiale presso il Programma di studi sulla sicurezza dell’Università di Georgetown, in un articolo scritto per la Jamestown Foundation.

Il massacro, condotto dal gruppo affiliato ad al-Qaeda noto come il Gruppo di Sostegno all’Islam e ai Musulmani (Jnim) e il più secolare Coordinamento dei Movimenti dell’Azawad (Cma), ha rappresentato un duro colpo per la Wagner. L’attacco, articolato in due fasi, ha visto il Cma lanciare l’assalto iniziale, seguito dal Jnim che ha eliminato le truppe rimanenti tra cui i soldati maliani alleati. Quest’ultimo gruppo, normalmente impegnato in attacchi contro le forze dei Paesi occidentali nel Sahel, ha da circa un anno spostato il suo focus sui miliziani del gruppo fondato da Yevgeny Prigozhin. I video propagandistici diffusi da Jnim, che mostrano i cadaveri dei combattenti Wagner e imprenditori russi catturati, hanno ulteriormente alimentato il loro messaggio anti-russo.

L’offensiva ucraina a Kursk ha fornito un pretesto per il ritiro di alcuni combattenti Wagner verso la Russia, evitando che il massacro in Mali fosse percepito come la causa principale di quella che può essere letta come una “fuga”. Questa mossa strategica ha permesso al gruppo di conservare un’immagine di resilienza, evitando accuse di fallimento operativo in Africa.

Come nota Zenn la collaborazione tattica tra Jnim e Cma, pur senza una vera alleanza, ha dimostrato l’efficacia di una strategia condivisa contro un nemico comune, e si inserisce nel filone dei precedenti sforzi di entrambi i gruppi di formare “patti di non aggressione” e di scambiare prigionieri e veicoli catturati dalle parti avversarie. Tuttavia, entrambe le entità non vogliono essere associate formalmente l’una all’altra per questioni ideologiche.

In risposta al massacro, le forze armate maliane hanno lanciato attacchi aerei contro le basi dei due gruppi coinvoltio, apparentemente utilizzando droni di fabbricazione turca. Tuttavia, queste operazioni non sono riuscite a invertire la tendenza, lasciando il Mali sempre più vulnerabile alle incursioni jihadiste. La giunta militare maliana, dipendente dai combattenti Wagner per la propria sicurezza a Bamako, sta affrontando una crescente pressione interna. “Nel lungo periodo, le operazioni di counterinsurgency in Mali continueranno e i combattenti Wagner saranno costretti a sorvegliare principalmente i leader della giunta maliana a Bamako. L’incapacità della giunta di mantenere le promesse di sviluppo e sicurezza ha comportato un rischio sempre maggiore di proteste popolari” conclude l’esperto della Georgetown.

La ritirata parziale di Wagner dal Sahel sottolinea le difficoltà crescenti della Russia nel mantenere la propria influenza in una regione strategicamente complessa. Sebbene sia improbabile un abbandono completo dell’Africa da parte del gruppo ora noto come Africa Corps, la riorganizzazione sotto il Ministero della Difesa suggerisce un cambiamento di priorità, con un focus maggiore sulla protezione delle élite maliane piuttosto che sul contrasto alle insurrezioni. In definitiva, il massacro di luglio e gli sviluppi successivi rappresentano un monito sulle sfide operative e politiche che la Russia e le sue forze affiliate devono affrontare nel tentativo di consolidare la propria presenza in Africa, un continente sempre più al centro delle dinamiche geopolitiche globali.


×

Iscriviti alla newsletter