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La Porta Santa interroga anche chi è “fuori”. Scrive Cristiano

Il rito odierno, se visto da fuori ma nel pieno rispetto del mistero e del suo vero senso per l’universo credente, può divenire un invito potente a riscoprirci nel bisogno costante, irrinunciabile, dell’oltre. La riflessione di Riccardo Cristiano nel giorno dell’apertura della Porta Santa che inaugura il Giubileo 2025

Oggi si apre una porta. Può sembrare un fatto curioso, o irrilevante, anche se si aggiunge che si tratta della Porta Santa. Chi non vive la fede, la vita ecclesiale, sa poco dei riti e potrebbe disinteressarsi, oppure osservare distratto. Chi invece è in questo mondo sa bene che, come spiega la Santa Sede, la porta santa che si apre è “ il segno del varco salvifico aperto da Cristo con la sua incarnazione, morte e risurrezione, chiamando tutti a vivere da riconciliati con Dio e con il prossimo. Per questo passare per essa evoca il passaggio che ogni cristiano è chiamato a compiere dal peccato alla grazia…”.

Questo è certamente il rilevante, potente fatto ecclesiale. Ma il mondo secolarizzato non necessariamente lontano o peggio ancora opposto a quello credente, può tentare di vivere il ritiro odierno pur con un occhio e una mente esterni alla Chiesa, ma partecipi di un evento rivolto anche a loro, come cittadini e quindi concittadini in questo mondo, concittadini di tanti credenti.

Quando apriamo una porta, in particolare quella di casa, arriviamo su una soglia che ci porta nell’oltre. Oltre il nostro spazio, il nostro ambiente, cioè il nostro presente. Aprire una porta vuol dire andare oltre, avventurarsi nell’oltre. Poi torneremo, certamente, torneremo nel nostro spazio, ma intanto la nostra vita dalla soglia di casa già conosce uno spazio diverso, nel quale altri entreranno contemporaneamente e quindi noi entreremo con altre persone in un oltre, che esiste.

È questa naturale, indispensabile presenza dell’oltre che si percepisce ogni volta che ad un giubileo si apre la Porta Santa. L’oltre che conosciamo entra nella nostra vita, nel nostro presente, quando compiamo la semplice azione di aprire la porta di casa. E l’altro oltre?

Dunque basta vedere la semplicità del gesto che compie il vescovo di Roma aprendo la prima Porta Santa: indica un oltre che è già presente, e invita a varcare la soglia. La prassi ecclesiale prevede anche l’abbattimento del muro, quello che noi superiamo con la porta e che fino a quel momento ci sperava da ciò che è fuori dal nostro spazio. E questo rimanda a un’idea universale, di apertura, di incontro, di unione.

L’incontro con l’oltre vicino lo immaginiamo facilmente, ci sembra già noto, rassicurante, ma è sempre diverso, mai immaginabile nel volto di chi incontreremo, di chi troveremo sul nostro cammino. Ma questa apertura ci sembra normale, mentre quella odierna si fa sorprendente per il fatto stesso di essere un simbolo universale di apertura, apertura di una porta che di certo indica l’oltre, mentre nella nostra realtà si sente più facilmente l’esigenza di erigere muri, di chiudere porte, per questo diffuso timore di cosa ci sia oltre il nostro confine, il nostro spazio, il nostro presente.

La riduzione dello spazio del mondo, della sua dimensione, delle sue distanze, ci è ormai familiare, con le comunicazioni che cancellano le distanze, con whatsapp che ci fa parlare senza costi con l’altro capo del mondo, con i social che ci portano accanto chiunque sia a un tiro di schioppo o a mille chilometri. Eppure questa vicinanza diviene enorme distanza appena usciamo dallo spazio virtuale e torniamo in quello reale: basta immaginare l’altra sponda del nostro mare per immaginare lo spazio in tutt’altro modo. E’ un mondo nemico? Un oltre pauroso?

Il rito cattolico della “Porta Santa” appare epocale e per tutti agli occhi di chi lo vede come il rito dell’apertura: è un rito rivoluzionario allora, mentre per un motivo o per l’altro tutti pensiamo a chiudere porte e finestre, confini e limiti, dogane e tornelli, account e siti on line; tutto questo in un mondo fratturato, pirata, appare o diviene per tutti noi indispensabile. Anche la pace può apparirci un distante meccanismo di intesa impenetrabile tra leader e gerarchi alla ricerca o di nuovi confini o di nuove sfere di influenza. Paci che non hanno nessun oltre.

Il rito odierno se visto da fuori ma nel pieno rispetto del mistero e del suo vero senso per l’universo credente, può divenire allora un invito potente a riscoprirci nel bisogno costante, irrinunciabile, dell’oltre.


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