Skip to main content

Autonomia, è presto per dire referendum. L’analisi di Sterpa

È troppo tardi per cantare vittoria dalla prospettiva dei promotori del referendum per abrogare l’Autonomia differenziata. Ora la “palla” torna nelle mani della Corte Costituzionale, che dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità o meno del referendum. Il rischio, però, è trasformare questa votazione in un plebiscito politico e sfruttarlo contro il premierato. Oltre a bloccare il Parlamento. Colloquio con il costituzionalista Alessandro Sterpa

La Cassazione ha dato il nulla osta al referendum sull’abrogazione dell’Autonomia differenziata. Ma è decisamente ancora presto per cantare vittoria (dalla prospettiva dei promotori, chiaramente). L’errore da non commettere – e che invece commettono in tanti – è quello di “confondere un giudizio di legittimità con quello di ammissibilità”. È il primo appunto metodologico che muove, sulle colonne di Formiche.net, Alessandro Sterpa, costituzionalista, professore di Diritto pubblico all’università della Tuscia.

Professore, il pronunciamento della Suprema Corte è già diventato terreno di dibattito politico. Tanto rumore per nulla?

Onestamente mi pare che, come spesso accade in questi frangenti, ci sia una sopravvalutazione del pronunciamento della Suprema Corte. La Cassazione si è espressa in ordine alla legittimità di questo quesito referendario. Ha valutato, insomma, se l’oggetto del referendum è ancora abrogabile ricorrendo a quello strumento.

La Corte Costituzionale, comunque, era già intervenuta sull’Autonomia chiedendo una serie di correttivi al Parlamento. 

Sì, ma questo non pregiudica il fatto che si possa comunque svolgere il referendum sull’intera norma. Non su quesiti parziali. Per cui, nonostante la Corte Costituzionale abbia annullato una parte di previsioni legate all’Autonomia i presupposti per il referendum abrogativo restano. Non è detto, però, che si faccia.

Quale potrebbe essere l’elemento ostativo, che potrebbe far saltare tutto il banco?

Ora la “palla” torna nelle mani della Corte Costituzionale, che dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità o meno del referendum.

Quali potrebbero essere i motivi dell’inammissibilità, eventualmente?

Penso che potrebbero essere due gli elementi. O che la legge venga dichiarata costituzionalmente necessaria, oppure che la legge – nel solco peraltro del precedente pronunciamento – non sia pienamente funzionale. A questo punto, il referendum perderebbe di senso. Non avrebbe alcun senso proporre un referendum su un provvedimento che non è pienamente funzionale. Il rischio è che il referendum si trasformi in un plebiscito politico.

Di fatto sui referendum già si consuma un aspro scontro fra maggioranza e opposizione. Lei dice che possa esserci anche altro, nelle volontà dei promotori?

Siamo nel campo delle ipotesi. Tuttavia è possibile che i promotori del referendum possano considerare – qualora si facesse, anche se non raggiungesse il quorum necessario – l’eventuale bacino di “voti” potenzialmente travasabile in altre occasioni. Tradotto: spendibile contro la riforma del premierato. Referendum, quest’ultimo, che non necessiterebbe peraltro di quorum. Cè, poi, un altro elemento che va considerato in ordine al pronunciamento della Cassazione e all’esito che avrà questo referendum.

A cosa si riferisce?

Se l’esito referendario dovesse essere favorevole, di fatto si creerebbe un blocco. Il Parlamento non potrebbe infatti più legiferare in contrasto con l’intento perseguito dal referendum abrogativo. Dunque si rischia di paralizzare una norma costituzionale che non può non essere applicata. Eventualmente il tema dovrebbe essere come applicarla, non se applicarla.


×

Iscriviti alla newsletter