Il perdurare nell’ultimo quinquennio di forti crisi globali e di gravi tensioni internazionali ha contribuito a tenere vivo il ciclo politico della radicalizzazione delle posizioni, come si è visto in maniera evidente nelle elezioni parlamentari francesi dell’estate 2024 e nell’attuale campagna presidenziale Usa. Sembrerebbe quindi il momento meno adatto per parlare di una “terza posizione” ma in realtà non è così, come dimostrano le recenti tornate elettorali europee. Il commento di Luigi Marattin, deputato e professore di Economia all’Università di Bologna
La radicalizzazione del confronto politico ha avuto diversi cicli nella storia, comportando in alcuni casi estremi (come dopo la Prima guerra mondiale e la Grande crisi del 1929) persino la sospensione della democrazia e della libertà. Il più recente ciclo di radicalizzazione è avvenuto dopo la doppia crisi: quella (globale) finanziaria del 2009 e quella (europea) dei debiti sovrani del 2012.
Da lì in poi abbiamo assistito alla ripresa dei populismi in tutto il mondo, dal Brasile all’Italia, passando per la Gran Bretagna e gli Stati Uniti e i Paesi dell’est europeo. Parallelamente alcune leadership che fino a quel momento – sebbene in alcuni casi già con gravi violazioni dei diritti umani – erano sedute composte al tavolo del confronto internazionale (Turchia, Ungheria, Russia) si sono radicalizzate fino addirittura, nel caso russo, a violare il tabù dell’uso della forza.
Il perdurare nell’ultimo quinquennio di forti crisi globali (il Covid-19) e di gravi tensioni internazionali (dall’Ucraina al Medio Oriente) ha contribuito a tenere vivo il ciclo politico della radicalizzazione delle posizioni. Come si è visto in maniera evidente nelle elezioni parlamentari francesi dell’estate 2024 e nell’attuale campagna presidenziale Usa. Sembrerebbe quindi il momento meno adatto per parlare di una “terza posizione”, di un’offerta politica che rifiuti la radicalizzazione e la divisione “manichea” dello spazio politico e sia in grado di costituirsi in maniera autonoma, indipendente e su solide basi culturali, di identità politica e di visione di società.
Io invece penso che sia proprio questo il momento adatto. E le recenti tornate elettorali europee lo dimostrano. La Gran Bretagna è la patria mondiale del bipartitismo e del “voto utile”. Vige da sempre una legge elettorale totalmente maggioritaria e a turno unico, dove in ogni collegio chi ha un voto in più vince. E da un paio di centinaia di anni esistono due principali tradizioni politiche: quella dei laburisti e quella dei conservatori.
Nel Parlamento il primo ministro si alza e ha di fronte il leader dell’opposizione, che è a capo del governo ombra. Sembrerebbe quindi il posto sulla Terra dove ci sono minori possibilità di “rompere il bipolarismo”. Eppure un partito terzo (i Liberal-democratici) alle elezioni del 4 luglio ha ottenuto il 12,2% dei consensi, con 71 parlamentari eletti.
In Francia vige una legge elettorale un po’ meno maggioritaria, col doppio turno. Ma vige ugualmente un solido e pluridecennale bipolarismo, enfatizzato dalla radicalizzazione accennata in apertura. Eppure, un partito centrale (quello di Emmanuel Macron) a luglio ha ottenuto il 20% dei consensi, e si tratta del risultato peggiore degli ultimi sette anni.
In Italia ultimamente si è rafforzato il fronte di chi vorrebbe far credere che da noi, invece, il bipolarismo è invincibile e saldamente ancorato al comune sentire del popolo. Da noi, dove le culture politiche fin dall’epoca pre-repubblicana sono state almeno cinque (comunista, socialista, laico-repubblicana-liberale, cattolica popolare e di destra sociale) e dove ci siamo sempre ben guardati dall’instaurare un vero sistema maggioritario.
L’attuale legge elettorale, infatti, è per due terzi proporzionale. E anche nel tentativo più spinto di sistema maggioritario (il “Mattarellum”) la quota proporzionale era del 25%, ed era quella che garantiva il ri-spacchettamento delle coalizioni dopo il voto. Ma soprattutto, a suggerire la necessità di un’offerta politica “terza” nel nostro Paese è l’analisi politica. L’ondata di radicalizzazione descritta in apertura ha fatto sì che in Italia le due coalizioni assumessero progressivamente una trazione estremista.
È accaduto a destra con l’affermazione del populismo sovranista di Salvini (prima) e Meloni (poi), e a sinistra con il populismo del M5S e la vittoria alle primarie del Pd di Elly Schlein e del suo gruppo dirigente, in maggioranza proveniente dalla sinistra radicale.
Come risultato, una gran parte del Paese – che rifiuta la scelta obbligata tra due offerte politiche a trazione radicale – si trova senza rappresentanza politica. Ed è costretta o a votare il meno peggio turandosi il naso o a non votare, come dimostra l’impennata dell’astensionismo a tutti i livelli.
Io penso che sia possibile costruire un’offerta politica autenticamente liberal-democratica e riformatrice, autonoma dai due schieramenti perché basata su una diversa idea di società, su una differente opinione su cosa sia andato storto in Italia per arrivare a essere il Paese che dalla globalizzazione in poi è cresciuto di meno al mondo, su una diversa e ben delineata identità politica, su un distinto set di valori, su un variegato insieme di politiche pubbliche per portare il Paese a evitare il declino.
Formiche 206