Balza agli occhi il fatto che sinistre e sindacato abbiano preferito mobilitare le piazze evocando un’astratto ritorno in auge del fascismo piuttosto che denunciando la concreta evaporazione di posti di lavoro minacciati da una politica industriale evidentemente dissennata. L’opinione di Andrea Cangini
Difficile dare torto a Carlo Calenda, che sul Corriere della Sera accusa “la sinistra” di essersi “totalmente disinteressata” della crisi di Stellantis e delle scelte dissennate del Ceo, oggi dimissionario, Carlos Tavares.
Accusa che, naturalmente, vale anche per il segretario del maggior sindacato italiano. “Fino a tre mesi fa anche il leader della Cgil Landini taceva, forse voleva tenere buoni rapporti con Gedi, la società degli Elkann che possiede Repubblica e La Stampa”, insinua Calenda. E, per quanto sgradevole, l’insinuazione appare tutto sommato credibile.
Quale che sia la spiegazione, il desiderio di non compromettere i rapporti con i maggiori quotidiani d’area piuttosto che la naturale inclinazione a non pestare i piedi ai padroni del vapore, balza agli occhi il fatto che sinistre e sindacato abbiano preferito mobilitare le piazze evocando un’astratto ritorno in auge del fascismo piuttosto che denunciando la concreta evaporazione di posti di lavoro minacciati da una politica industriale evidentemente dissennata.
Una politica industriale cui hanno fatto da pendant ricche provvigioni finanziarie per manager ed azionisti.
Da una parte, infatti, lo stabilimento di Mirafiori entrava in crisi e la coppia Tavares-Elkann avviava la produzione di Alfa Romeo in Polonia, della Panda in Serbia, della Topolino in Marocco per la gioia degli operai e dei produttori di componentistica italiani.
Dall’altra, in tre anni Stellantis distribuiva 23 miliardi di dividendi e riacquisti agli azionisti, Exor incassava una cedola di quasi tre miliardi e Tavares uno stipendio annuo di circa 50 milioni.
Scenario che a sinistra ha suscitato le rimostranze del solo leader di Azione. Un fenomeno macroscopico, rimarcato oggi da Francesco Verderami sul Corriere: “Ancora a settembre Calenda chiese ai leader del campo largo di muoversi insieme contro la politica di tagli del colosso automobilistico”. Ricevette il silenzio della leader del Pd e la querela (mai presentata) del segretario della Cgil.
Certo è singolare che la sinistra stesse preparando l’autunno caldo tacendo sui licenziamenti, ma “anche a sinistra — concluse Calenda — regna il conflitto d’interessi”. Con chiare allusioni ai rapporti con il mondo dell’editoria.
Se, dunque, l’afasia delle opposizioni riguardo la politica industriale di Stellantis è divenuta ormai materia di pubblico dibattito, su una certa acquiescenza “istituzionale” regna invece ancora il silenzio.
Si tende, infatti, a non ricordare che nella fase di massimo scontro tra la ex Fiat e il governo Meloni sul futuro di Mirafiori, in una sola giornata, il 6 febbraio scorso, oltre che dall’ambasciatore statunitense in Italia, John Elkann fu ricevuto in pompa magna dal presidente della Repubblica, del governatore della Banca d’Italia e dal comandante generale dell’Arma dei Carabinieri.
Possibile che ciascuno dei suoi interlocutori avesse ottime ed alte ragioni per dar corso all’incontro, ma sicuramente quell’insolita sequenza di appuntamenti “istituzionali” nell’arco di poche ore fu mediaticamente utilizzata come una dimostrazione di potenza dal giovane Elkann.