L’Occidente sta coinvolgendo i principali produttori di diamanti africani a istituire un sistema di verifica delle pietre preziose. Così da limitare ulteriormente il commercio di diamanti made in Russia
La rete di sanzioni occidentali contro la Russia continua ad allargarsi ad altri Paesi del resto del mondo, e lo fa riguardo ad uno specifico ma rilevante asset: quello dei diamanti, di cui la Federazione russa è il più grande produttore al mondo per volume. E proprio per questo motivo all’inizio di quest’anno gli attori euroatlantici sono riusciti, dopo mesi di sforzi in questa direzione, a varare pacchetti sanzionatori atti proprio a limitare la compravendita delle pietre preziose estratte in Russia, preziosa fonte di introiti per un Paese con un apparato bellico impegnato in un conflitto che si protrae, inaspettatamente per la leadership russa, da più di trenta mesi.
Tuttavia, mantenere un efficace sistema di tracciabilità capace di impedire l’afflusso di diamanti russi sul mercato europeo risulta pressoché impossibile se il suddetto sistema si struttura solamente intorno al lato della domanda. E proprio per ovviare a questa debolezza il G7 ha avviato un dialogo con i principali produttori di diamanti africani come Botswana, Namibia e Angola, affinché aderiscano alla certificazione d’origine della loro produzione nazionale.
Il Botswana (secondo produttore mondiale dopo la Russia) ha deciso di iniziare a certificare i diamanti grezzi che escono dal Paese dalle sue miniere, aprendo un punto di verifica delle esportazioni in collaborazione con il Centro mondiale dei diamanti di Anversa (Awdc). Il sistema elaborato prevede l’attribuzione di un numero a ciascun carico di diamanti, che viaggerà con le pietre lungo la catena del valore, così da evitare che si confondano con i diamanti russi lungo il percorso. “Abbiamo molta esperienza pratica, ma anche politica, su come farlo. L’intenzione è quella di metterlo in atto nel primo trimestre” ha dichiarato a Politico Karen Rentmeesters, amministratrice delegata dell’Awdc.
Anche Namibia e Angola sono in trattativa con i Paesi del G7 e dell’Unione europea per istituire un simile sistema di verifica. In prospettiva futura, il secondo Paese risulta particolarmente interessante, per via delle enormi riserve ancora non sfruttate, che potrebbero permettere all’Angola addirittura detronizzare la Russia come maggior produttore. Fino a poche ore fa, la presenza di Mosca nell’industria diamantifera del Paese (sviluppata attraverso la società minera di proprietà del Cremlino Alrosa) avrebbe inficiato gli sforzi nell’istituzione di un processo di verifica per i carichi di diamanti; tuttavia, lo scorso venerdì il governo dell’Angola ha dichiarato che un fondo di investimento omanita acquisterà le i diritti della joint venture tra Alrosa e la controparte angolana, eliminando così il problema dell’interferenza russa. Annuncio dato, tralaltro, a poche ore di distanza dall’arrivo del Presidente statunitense Joe Biden in visita ufficiale nel Paese africano, la prima in tutto il continente dall’inizio del suo mandato, con l’obiettivo di promuovere il progetto del corridoio di Lobito per l’esportazione di minerali.
Puntando sulla tutela degli interessi dei Paesi partner il blocco occidentale ha mostrato che è possibile allargare il sistema sanzionatorio costruito nei confronti di Mosca, in reazione alla sua offensiva contro l’Ucraina iniziata nel febbraio 2022. Sfruttare un simile approccio anche in altre dimensioni potrebbe dunque rivelarsi la scelta giusta per riuscire a infliggere danni ancora maggiori all’economia russa, così da indebolire ulteriormente le sue capacità belliche e da ridurne la motivazione a portare avanti le operazioni militari.