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Così il governo punta ad evitare la Caporetto dell’automotive

Il ministro Urso ad Atreju: “L’Italia ha presentato un testo per rivedere il percorso per la piena decarbonizzazione, senza modificare il target ma creando le condizioni per salvare l’industria europea e così evitare che alla fine di tutto e senza revisione, ci ritroviamo con zero industria nell’Ue”. Il tavolo con il governo del 17 sarà occasione utile per fare chiarezza

L’impegno del governo italiano è quello di impedire il danno che potrebbe essere tragicamente innescato dalla tagliola europea sulle emissioni, che si tradurrebbe in una desertificazione oggettiva industriale nel vecchio continente. La promessa sull’automotive arriva dal palco di Atreju ed è fatta dal ministro per le Imprese Adolfo Urso, che non a caso usa il termine Caporetto dell’auto, in una settimana caratterizzata non solo dal disimpegno di Tavares con la coda polemica che ne è scaturita, ma soprattutto dalla fatidica data del 17 dicembre prossimo, quando si concretizzerà il tavolo con il governo sull’automotive, occasione utile per fare chiarezza sia sul comparto occupazionale sia sul futuro di un settore primario per l’interesse italiano, senza dimenticare lo scenario europeo che vede una possibile nuova maggioranza in Parlamento.

Pragmatismo per evitare il danno

Rimuovere “subito” le multe che scattano da gennaio nel quadro degli obiettivi del green deal Ue per l’automotive. Il ministro Urso va dritto al punto della questione che interessa il destino dei produttori e, quindi, dei lavoratori: “Noi abbiamo capito prima degli altri che si stava profilando la Caporetto dell’auto europea. Perché non abbiamo una visione ideologica, ma pragmatica e responsabile su come affrontare la transizione ecologica e la politica industriale”. Per questa ragione rivendica per l’Italia un ruolo attivo: ovvero Roma “ha presentato un testo per rivedere il percorso per la piena decarbonizzazione, senza modificare il target ma creando le condizioni per salvare l’industria europea e per evitare che alla fine del percorso Ue , senza revisione, ci ritroviamo con zero industria nell’Ue”.

La prospettiva di intervento, dunque, è di ampio respiro e coinvolge il destino continentale: un quadro già ad oggi grave, come dimostrano i licenziamenti annunciati da colossi come Audi, Volkswagen e Ford e con annesse polemiche per via della possibile apertura in Messico di uno stabilimento Volkswagen.

Il caso Tavares

C’è un elemento che si intreccia alle soluzioni pratiche che, da domani, andranno individuate per consentire al vertice del 17 di essere decisivo: il ruolo avuto in passato dal manager di Stellantis. Secondo Urso Tavares non aveva capito la realtà ed ora non c’è più per la chiusura del contratto. “Abbiamo compreso che l’aria era cambiata e ci siamo messi al lavoro con Stellantis con uno spirito nuovo e costruttivo, con l’obiettivo di dimostrare a tutti, il 17 dicembre, che abbiamo rimesso sulla strada l’auto italiana che era deragliata, che era uscita fuori strada”. Urso rivendica un metodo che viene da sempre usato dal governo, ovvero il coinvolgimento del sistema Paese e quello che parte da una visione pragmatica delle esigenze (e delle crisi in atto). Per cui annuncia che l’obiettivo è dimostrare a tutti di “aver rimesso sulla strada l’auto italiana che era deragliata, che era sul procinto del burrone ”

Gli scenari di crisi

Non vanno dimenticati i numeri di questa crisi che non è affatto secondaria, anche nell’elaborazione di una strategia complessiva guardando ai primi passi della nuova commissione europea. Dati che sono stati enunciati dal numero uno di Confindustria Alessandro Orsini: ben 270mila posti di lavoro sono a forte rischio in Europa e in Italia e 70mila nella filiera dell’automotive, che è “eccellenza riconosciuta al mondo”. Orsini ha anche messo l’accento su un passaggio preciso quando ha detto che “non ci piacciono le ‘fabbriche cacciavite’, perché non possiamo pensare di avere altri partner che arrivano in Italia, portano le casse e poi le montiamo: dobbiamo mantenere l’occupazione del Paese”.

Aumenta il livello di preoccupazione Fabrizio Cellino, presidente di Api Torino, l’associazione delle piccole e medie imprese private che conta circa 1.800 associati secondo cui per l ‘industria “è la peggior crisi degli ultimi decenni, rischiamo di vedere scomparire interi comparti. È peggio che all’epoca del Covid”. Osserva che non è esagerato pensare che di fronte a dati di questo genere le prospettive dell’industria a Torino, e in particolare di quella manifatturiera, sono davvero ridotte ai minimi termini. “Non siamo davanti ad una crisi congiunturale ma strutturale, della quale, tra l’altro, non si vede la fine”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente di Cna, Dario Costantini, secondo cui “le modifiche annunciate dal Mimit a Transizione 5.0 vanno nella giusta direzione anche se aspettiamo di vedere il testo per un giudizio più preciso”, anche se rimane la preoccupazione sui tempi. “Abbiamo dodici mesi per attivare quasi 20 miliardi di euro di investimenti da parte delle imprese”. E sull’automotive ribadisce la richiesta di allargare il tavolo del 17 dicembre alle associazioni rappresentative della filiera.


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