Il comportamento risoluto e incisivo adottato dal presidente Elkann merita rispetto e rivela acume e spirito di cambiamento. In un momento di estrema difficoltà per Stellantis, si è infatti assunto la responsabilità di prendere decisioni importanti in tempi brevi adottando una nuova strategia, improntata al dialogo
Il successo economico e industriale di una multinazionale dipende dall’allineamento e dalla condivisione degli obiettivi, delle strategie e delle tattiche operative che esistono tra gli azionisti e il top management, in cui il ceo rappresenta il vertice della piramide. Quando si crea scollamento tra la visione degli azionisti e quella del ceo, il rappresentante dei primi ha il dovere di assumere su di sé l’onere di cambiare la prima linea decisionale, aprendo un processo di trasformazione e di ricerca di un nuovo manager in grado di rappresentare nella quotidianità gli interessi dell’azionariato.
Quello che è accaduto in Stellantis è, per molti versi, un caso di scuola: gli attriti creati dalle scelte del Carlos Tavares, focalizzato su una strategia fatta di efficientamento dei costi, attenzione esclusiva agli aspetti finanziari dell’azienda e poca propensione al dialogo con le istituzioni, elemento oggi imprescindibile per qualsiasi multinazionale operante nel comparto manifatturiero, hanno obbligato il presidente John Elkann a scelte rapide e coraggiose.
La decisione di cambiare amministratore delegato, rinunciando al principale architetto dell’operazione Stellantis, ha il sapore del cambio di strategia. E permette di utilizzare questa crisi del comparto automobilistico (basti vedere le scelte adottate da Volkswagen in Germania che hanno creato sconcerto e shock nella comunità economico-finanziaria e sindacale, a poche settimane dalle elezioni federali anticipate) per rilanciare l’azienda su nuovi paradigmi, più industriali, attenti alle dinamiche geopolitiche e improntati al dialogo e all’ascolto delle istanze di tutti gli stakeholder industriali e istituzionali.
D’altro canto è bene ricordarsi che Stellantis non è più la Fiat. È il quarto produttore al mondo, con ambizioni rinnovate di crescita, e intrattiene rapporti con altri 30 mercati. Pensare di essere al centro del villaggio può piacerci ma si scontra con la realtà industriale. Per cui la richiesta, effettuata al presidente Elkann di andare in Parlamento a riferire sulla crisi del gruppo e del settore automobilistico giunta dalla maggioranza e dall’opposizione, per quanto comprensibile, non può non tener conto della complessità industriale del comparto automobilistico, delle interconnessioni esistenti nelle sue catene del valore che coinvolgono, in un reticolo composto da tanti nodi, numerosi Paesi tutti legittimati a poter effettuare la stessa richiesta.
Eppure, nonostante il contesto difficile, le ultime ore lasciano presagire prospettive incoraggianti. Alla luce delle scelte compiute del comitato esecutivo guidato dal presidente Elkann e dalle conseguenti dichiarazioni aperturiste effettuate dal governo e da diversi esponenti della maggioranza, l’ottimismo fa intravedere possibili opportunità di collaborazione tra l’azienda e il sistema Paese dal punto di vista industriale. A voler essere ancor più audaci, questa apertura potrebbe creare l’opportunità per il governo italiano di ritrovare convergenza con Stellantis su obiettivi di carattere geopolitico, considerando la casa automobilistica un’ulteriore leva di soft power in grado di aumentare le opportunità di proiezione internazionale del nostro Paese.
Il comportamento risoluto e incisivo adottato dal presidente Elkann merita rispetto e rivela acume e spirito di cambiamento. In un momento di estrema difficoltà per Stellantis, si è infatti assunto la responsabilità di prendere decisioni importanti in tempi brevi adottando una nuova strategia, improntata al dialogo con le istituzioni italiane e non solo, dimostrando capacità di cambiare spartito e intelligenza nel cercare terreno di confronto costruttivo con gli stakeholder che a loro volta hanno dimostrato la stessa qualità.
Le leadership si rivelano nelle crisi: è augurabile per l’Italia che, anche in questo caso, la profezia si riveli veritiera.